tpi-back

lunedì 16 novembre 2009

il lato oscuro del digitale terrestre


Il digitale terrestre è nato male, anzi, non doveva proprio nascere (almeno per quanto riguarda il mio pensiero). E mi riferisco alle motivazioni che stanno dietro a quello che è stato presentato come un grande vantaggio per i telespettatori. Parliamoci chiaro: ci sono sempre e comunque soltanto gli interessi economici (stratosferici) dei soggetti che vogliono fare soldi a palate. E nient'altro. Stabilendo il passaggio fra sistema televisivo a diffusione analogica a quello digitale, il Parlamento europeo ha ceduto alle pretese lobbistiche di chi guardava alle prospettive di potere facendosi scudo del progresso tecnologico. Le diffidenze in tutti i Paesi europei verso questo progresso sono state tante perché, mentre il sistema analogico consente ricezioni anche in presenza di deboli segnali, il digitale non ha mezze misure: si vede o non si vede. Non a caso i tempi sono stati stabiliti dalla Unione Europea al 2012, pensando che la sperimentazione finisse per accertare in modo inoppugnabile i benefici. Ma in Italia (come al solito) si è colta la palla al balzo per risolvere certi problemi di bottega: primo fra tutti quello di Rete4, decidendo di bruciare le tappe a favore delle reti nazionali private e del mondo degli affari oscuri. Non si è scelto (come erroneamente sembra) la strada del vero avanzamento tecnologico di qualità e del risparmio che poteva essere ottenuto con il potenziamento delle trasmissioni da satellite (che consentivano tra l’altro un enorme risparmio energetico): un solo trasmettitore per ciascun bouquet a copertura di tutta Europa contro i circa 1.500 necessari per illuminare il solo territorio italiano. Questa soluzione avrebbe consentito l’esistenza in parallelo dell’analogico terrestre a scelta dell’utenza, evitando di mandare al macero un numero spaventoso di ricevitori; inoltre, potevano essere abbassate le potenze di trasmissione, diminuendo gli sprechi in tempo di grave crisi economica. A differenza di quanto dichiarato dal ministro Scajola e dal suo vice Romani, l’inquinamento e il dispendio energetico non potranno essere ridotti, ma aumenteranno perché le difficoltà legate alla difficile ricezione in digitale per coloro che non hanno la ventura di risiedere vicino alle antenne che emettono il segnale, si tenterà di superarle impiegando (rispetto all’analogico) un numero superiore di apparati di trasmissione e di potenze a radio frequenza maggiori. Il quadro generale che si presenta per gli operatori e gli ascoltatori è dunque indefinibile e presenta anche aspetti comici. Non a caso Mediaset, Rai e La7 hanno cercato di correre ai ripari in base alla previsione che la ricezione dei loro canali in certe zone sarà difficile, fondando una società chiamata Tivù Sat che si avvale di un satellite. Posso a questo punto immaginare, tra il serio e il faceto, la condizione di un ascoltatore abbonato a Sky che ha l’abitazione fuori dal campo di ricezione Rai, Mediaset e La7. Già in possesso del decodificatore per la sintonizzazione di Sky, per vedere Tivù Sat avrà bisogno di un secondo; se poi vorrà vedere anche le emittenti locali avrà bisogno di un terzo decoder. Il tutto condito dalla continua commutazione dei tre dispositivi verso le prese scart del televisore e con in mano ben quattro telecomandi, uno per accendere l’apparecchio e gli altri tre per effettuare la ricerca! Queste ultime difficoltà potevano essere attenuate se l’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni avesse disposto l’adozione di un decodificatore unico. Ma la sua incapacità e la relativa imprevidenza difficilmente potranno essere recuperate perché nel frattempo sono stati venduti un gran numero di televisori con un solo decoder incorporato, non modificabile. Grave risulta essere la situazione, poi, in cui si troveranno le altre reti nazionali e locali che per gli alti costi non sono in grado di avvalersi di Rai Way che oramai è a disposizione di Rai, Mediaset e La7. Esse rischieranno l’estinzione perché perderanno quel vantaggio che oggi consente ancora all’utenza in appena 20 secondi di esplorare con il telecomando tutta l’offerta del momento, fermandosi sul programma che gli interessa. Invece gli ascoltatori, un po’ per le difficoltà di ricezione, un po’ per la ricerca complicata, finiranno per ignorarle orientandosi a seguire le emittenti visibili con più facilità. C'è da registrare, inoltre, che ovunque siano cessate le trasmissioni in analogico si sono manifestati i contorni di una possibile catastrofe: in Sardegna centinaia di comuni sono rimasti privi di segnali che erano soliti ricevere, e lo stesso è avvenuto in alcuni comuni del Piemonte. Una sorta di interruzione di pubblico servizio. Come tamponare gli effetti di una scelta sbagliata, aggravati da una serie di grossolani errori commessi dal ministero per lo Sviluppo economico e dall’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni? In primo luogo con la cessazione del silenzio stampa voluto per non turbare la grande festa del digital divider ossia la divisione delle frequenze fra coloro che ne hanno già tante (reti nazionali, telefonia, ecc.), buona parte delle quali è rappresentata da editori di giornali e proprietari di televisioni in palese conflitto di interesse (e non mi va di fare nomi...); in secondo luogo ridisegnando il numero dei canali delle reti nazionali che ambiscono a restare incontrastate padrone del settore; terzo, bloccando il processo di distruzione dell’esistente per almeno due anni come stabilito dall’Unione Eropea. Non sarà facile toccare interessi pianificati, ma la forza della protesta potrebbe riuscire a condizionarli. E credo che alla protesta dei telespettatori non sia possibile mettere uno switch off...

0 Commenti:

Posta un commento

Iscriviti a Commenti sul post [Atom]

<< Home page