è già un dato di Fatto (Quotidiano)
A tre settimane dal lancio in edicola (con il botto), il Fatto Quotidiano attira sempre più curiosità e qualche invidia. Curiosità per l'indubbio successo non preventivato nella diffusione, invidia per il pericolo che eroda fette di mercato a qualche concorrente. E' comunque un dato di fatto che il giornale dallo stile retrò sia in questo momento una delle voci più ascoltate quanto ad inchieste e servizi su Berlusconi e soci. Non solo: il Fatto si sta distinguendo anche per le critiche all'opposizione (è di stamani in prima pagina l'invito a cacciare la Binetti), il che la dice lunga sul paventato allarme dei soliti noti sulla matrice forcaiola e requirente che avrebbe ispirato la nascita del quotidiano di via Orazio. A parte ciò volevo oggi evidenziare la bella intervista che il direttore Antonio Padellaro ha concesso al giornalista Francesco Oggiano e pubblicato sul sito di Affaritaliani.it che di seguito riporto. Affiancandolo con i miei personali complimenti a Padellaro, a Travaglio e a tutta la redazione del Fatto, augurando loro sempre maggiori successi editoriali e auspicando la loro duratura indipendenza.
Ore 8 del mattino del mattino del 23 settembre: centinaia di edicolanti prendono carta e penna e, servendosi di un pezzo di scotch, incollano un avviso fuori dal loro chiosco: Il Fatto è esaurito. "110mila copie. Ne avevamo stampate tante, ma giusto perché era il primo giorno. E chi se l'aspettava".
Antonio Padellaro è appena uscito dalla riunione di redazione delle 12. Piuttosto rilassato, il nuovo direttore del Fatto Quotidiano cerca di stare coi piedi per terra. I suoi lo pressano per aumentare copie e pagine del nuovo giornale. Dai lettori arrivano richieste di espansione per la distribuzione. "Stiamo calmi. Non è passato neanche un mese dal lancio. Teniamo conto dell'effetto novità. Siamo stati i primi a essere presi in contropiede".
Messi da parte i fuochi d'artificio del primo giorno, a che tiratura viaggiate ora? "La media è sulle 85mila copie. Ma in giornate particolari, come quella successiva alla bocciatura del Lodo Alfano, possiamo toccare anche quota 115mila".
Beh, di che si lamenta? "Di niente. Pensi che il nostro obiettivo per stare a galla erano 10mila lettori. Ma, me lo lasci ripetere, escludo che questo sia un giornale da 100mila copie al giorno. Per averne anche la metà, andrei al Santuario della Madonna del Divino Amore a piedi".
Una bella passeggiata. Che magari le verrà risparmiata dagli abbonati al giornale. 36mila, giusto? "No, sono saliti. Ora siamo a 42mila".
Vi collocate come primo o come secondo quotidiano? "Mhm...".
Qual è il vostro target? "Mah, dai sei ai 70 anni".
Sì vabbè. "In realtà non lo sappiamo. Ci sono i lettori più anziani, che ci raccontano di essere 'tornati in edicola', dopo aver abbandonato i quotidiani. E poi ci sono i più giovani, quelli più internettiani, che ci leggono online. Pensi che il 70% degli abbonamenti sono nella versione in Pdf".
Chi sono, i Travaglio boys? "Eh, più o meno. Negli scorsi mesi ho girato l'Italia con lui e le posso assicurare che c'erano megaraduni di 2-3mila ragazzetti, tutti con i libri di Marco in mano".
E perché comprano Il Fatto? "La mia impressione è che ci sia una forte componente d'appartenenza. Molti ci vedono come un giornale indipendente da qualsiasi potere politico-economico e ci comprano come testimonianza di una loro voglia di libertà".
Andiamo, confessi: a chi sta rubando lettori? "A nessuno! Il bello dei giornali italiani è che tutti sono col segno più! Tutti i quotidiani vantano delle cifre fantastiche, hanno un successo magnifico. Ne siamo molto felici, ecco".
Passiamo alle critiche che vi vengono rivolte. Numero uno, la distribuzione. Siete ancora parecchio assenti al Sud. "E' vero. Ma le anticipo che l'espansione della distribuzione sarà all'ordine del giorno del prossimo Cda dell'azienda".
Prima critica aggirata. Seconda: i refusi. Un giorno c'era un "Abbruzzo" con due b. E dai... "I refusi ci sono, è inutile prendersi in giro. Ma le anticipo anche che ci stiamo attrezzando per prevenirli. Presto chiameremo dei correttori di bozze. E poi, mi perdoni, ma siamo pochissimi".
Immagino. Quanti siete? "Io faccio un giornale con un desk di dieci-undici giornalisti, anche perché eravamo partiti pensando di vendere 10mila copie. Tant'è vero che all'inizio le pagine erano sedici. Ora sono salite a venti. E di qui, nonostante le pressioni che vengono dalla redazione, non mi schiodo".
E perché? "Perché, al momento attuale, non le sosterremmo. Dobbiamo misurare bene le energie, non strafare per non ritrovarci col fiato corto. E poi noi abbiamo un problema enorme. Sa a che ora chiudiamo il giornale?".
Alle 23? "Macché. Noi dobbiamo chiudere per le 21 spaccate. Nei centri di stampa abbiamo una finestra temporale che chiude verso le 22 e 30. Poi bisogna far spazio agli altri giornali, come La Stampa o Libero. Ogni sera ci ritroviamo tutti con la lingua di fuori. E a me stanno saltando le coronarie. Per questo stiamo pensando di sfruttare un terzo centro di stampa, che si aggiungerebbe a quelli di Milano e Roma".
Passiamo alle altre obiezioni: c'è chi trova la grafica del Fatto un po' retrò. "Mah, ce l'hanno detto in molti. Premesso che il nostro Paolo Isidori è uno dei migliori grafici italiani, può darsi che qualche caratteristica, tipo l'uso dei caratteri bastoni nei titoli, possa sembrare un po' pesante".
Eh, un pochino. "Può darsi che, avendo noi immaginato un giornale di nicchia, abbiamo pensato di poterci permettere un design un po' più sui generis. Oggi, con un'utenza più diffusa, potremmo cambiare qualcosa. Non c'è problema".
Quindi, che cosa cambierete? "Mah, io trovo che la prima pagina sia molto pulita. La seconda parte, costituita dalle rubriche e dalle lettere, è anch'essa elegante. Effettivamente pare un po' disordinata la parte centrale, dedicata all'attualità. Ovviamente non per colpa dei grafici, ma di noi giornalisti, che interveniamo, modifichiamo...".
Cito dal Foglio di Giuliano Ferrara: "Il Fatto è l'unico giornale che, quando lo sfogli, tintinna". Definizione cattiva ma geniale, non trova? "Ahahah, guardi: pensavo che il tintinnio si riferisse al rumore del salvadanaio. Perché, vede, in questo momento la nostra è un'impresa molto florida".
Se la ride, eh? "Ma sì, scherziamoci sopra. Poi io sono contrario alle manette, per carità. Mi auguro solo che i delinquenti finiscano in galera". Come tutti. Anche come Beatrice Borromeo. A proposito: molti studenti delle scuole di giornalismo sono incazzati neri e si chiedono: 'Ma come gli è venuto in mente di concedere il praticantato alla Borromeo? "Anzitutto Beatrice ha un co.co.co. E poi io respingo con sdegno queste accuse. Beatrice Borromeo è, due punti virgolette, un'ottima giornalista, piena di idee, desiderosa di imparare e umile. Passa le lettere e scrive di tutto, dalle didascalie alle inchieste. Il 14 ottobre, ad esempio, ha pubblicato un bellissimo pezzo... Ecco, a pagina 7: Come licenziare 2mila persone senza che nessuno se ne accorga. Bene, questa inchiesta la porterei come esempio nelle scuole di giornalismo".
Merita un bel contrattino da praticante, allora. "Certo. Lo annuncio ad Affaritaliani.it: siccome sta dimostrando di essere molto brava, le darò presto il praticantato".
Ormai ha fatto la sua promessa. Io scrivo. "Scriva scriva. E devo dire un'altra cosa: le volgarità contro di lei, provenienti da molti altri giornalisti, sono la prova di cos'è diventato questo mestiere in Italia, sempre più autoreferenziale".
Mmm, leggo un sottile riferimento al dialogo a distanza tra i direttori Eugenio Scalfari e Ferruccio De Bortoli. "Dialogo? A me sembra più uno scambio de' bordate. I giornalisti non devono parlare dei giornalisti. Chi sono io per giudicare i miei colleghi? Chi sono per giudicare la qualità morale o professionale di un Feltri o di un Belpietro? Anche se fanno dei giornali differenti anni luce dalle mie idee, io li rispetto, perché penso che facciano molto bene il loro lavoro. Scambiarsi accuse del tipo 'Tu sei più servo di me', non solo non è giusto, ma è anche poco interessante. Noi giornalisti abbiamo altre storie di cui parlare".
Giusto. Quanto guadagna? "Eh eh eh".
Se non vuole non me lo dica. "No no. Anzi, sono contento della domanda. Io percepisco circa 5.200 euro di pensione al mese. Poi però, siccome dovevo dirigere un giornale, l'Inpgi ha chiesto che avessi almeno un contratto da articolo 1 del contratto giornalistico. Così mi sono fatto assumere e ho chiesto il minimo sindacale".
Quanto? "2.400 euro. Non mi sembra moltissimo, che dice? Ma io credo molto nel progetto e devo dare l'esempio".
Esempio che è stato seguito anche dagli altri? "Sì. Abbiamo chiesto ai nostri giornalisti di accontentarsi del minimo sindacale. Le grosse firme, quelle che venivano da altre testate, si sono accontentate di prendere esattamente quello che prendevano nelle testate di origine. Un atto di generosità, se pensa al rischio che hanno corso".
A proposito di grandi firme: ne ha in mente qualcun'altra da chiamare o qualche progetto in cantiere? "No, nel modo più assoluto. Ora dobbiamo pensare soltanto a consolidarci. Solo a dicembre capiremo veramente cos'è questo giornale. E solo allora saprò o no se fare quella passeggiata".
Quale passeggiata? "Come quale? Ma gliel'ho detto prima: quella al Santuario della Madonna del Divino Amore!".
Antonio Padellaro è appena uscito dalla riunione di redazione delle 12. Piuttosto rilassato, il nuovo direttore del Fatto Quotidiano cerca di stare coi piedi per terra. I suoi lo pressano per aumentare copie e pagine del nuovo giornale. Dai lettori arrivano richieste di espansione per la distribuzione. "Stiamo calmi. Non è passato neanche un mese dal lancio. Teniamo conto dell'effetto novità. Siamo stati i primi a essere presi in contropiede".
Messi da parte i fuochi d'artificio del primo giorno, a che tiratura viaggiate ora? "La media è sulle 85mila copie. Ma in giornate particolari, come quella successiva alla bocciatura del Lodo Alfano, possiamo toccare anche quota 115mila".
Beh, di che si lamenta? "Di niente. Pensi che il nostro obiettivo per stare a galla erano 10mila lettori. Ma, me lo lasci ripetere, escludo che questo sia un giornale da 100mila copie al giorno. Per averne anche la metà, andrei al Santuario della Madonna del Divino Amore a piedi".
Una bella passeggiata. Che magari le verrà risparmiata dagli abbonati al giornale. 36mila, giusto? "No, sono saliti. Ora siamo a 42mila".
Vi collocate come primo o come secondo quotidiano? "Mhm...".
Qual è il vostro target? "Mah, dai sei ai 70 anni".
Sì vabbè. "In realtà non lo sappiamo. Ci sono i lettori più anziani, che ci raccontano di essere 'tornati in edicola', dopo aver abbandonato i quotidiani. E poi ci sono i più giovani, quelli più internettiani, che ci leggono online. Pensi che il 70% degli abbonamenti sono nella versione in Pdf".
Chi sono, i Travaglio boys? "Eh, più o meno. Negli scorsi mesi ho girato l'Italia con lui e le posso assicurare che c'erano megaraduni di 2-3mila ragazzetti, tutti con i libri di Marco in mano".
E perché comprano Il Fatto? "La mia impressione è che ci sia una forte componente d'appartenenza. Molti ci vedono come un giornale indipendente da qualsiasi potere politico-economico e ci comprano come testimonianza di una loro voglia di libertà".
Andiamo, confessi: a chi sta rubando lettori? "A nessuno! Il bello dei giornali italiani è che tutti sono col segno più! Tutti i quotidiani vantano delle cifre fantastiche, hanno un successo magnifico. Ne siamo molto felici, ecco".
Passiamo alle critiche che vi vengono rivolte. Numero uno, la distribuzione. Siete ancora parecchio assenti al Sud. "E' vero. Ma le anticipo che l'espansione della distribuzione sarà all'ordine del giorno del prossimo Cda dell'azienda".
Prima critica aggirata. Seconda: i refusi. Un giorno c'era un "Abbruzzo" con due b. E dai... "I refusi ci sono, è inutile prendersi in giro. Ma le anticipo anche che ci stiamo attrezzando per prevenirli. Presto chiameremo dei correttori di bozze. E poi, mi perdoni, ma siamo pochissimi".
Immagino. Quanti siete? "Io faccio un giornale con un desk di dieci-undici giornalisti, anche perché eravamo partiti pensando di vendere 10mila copie. Tant'è vero che all'inizio le pagine erano sedici. Ora sono salite a venti. E di qui, nonostante le pressioni che vengono dalla redazione, non mi schiodo".
E perché? "Perché, al momento attuale, non le sosterremmo. Dobbiamo misurare bene le energie, non strafare per non ritrovarci col fiato corto. E poi noi abbiamo un problema enorme. Sa a che ora chiudiamo il giornale?".
Alle 23? "Macché. Noi dobbiamo chiudere per le 21 spaccate. Nei centri di stampa abbiamo una finestra temporale che chiude verso le 22 e 30. Poi bisogna far spazio agli altri giornali, come La Stampa o Libero. Ogni sera ci ritroviamo tutti con la lingua di fuori. E a me stanno saltando le coronarie. Per questo stiamo pensando di sfruttare un terzo centro di stampa, che si aggiungerebbe a quelli di Milano e Roma".
Passiamo alle altre obiezioni: c'è chi trova la grafica del Fatto un po' retrò. "Mah, ce l'hanno detto in molti. Premesso che il nostro Paolo Isidori è uno dei migliori grafici italiani, può darsi che qualche caratteristica, tipo l'uso dei caratteri bastoni nei titoli, possa sembrare un po' pesante".
Eh, un pochino. "Può darsi che, avendo noi immaginato un giornale di nicchia, abbiamo pensato di poterci permettere un design un po' più sui generis. Oggi, con un'utenza più diffusa, potremmo cambiare qualcosa. Non c'è problema".
Quindi, che cosa cambierete? "Mah, io trovo che la prima pagina sia molto pulita. La seconda parte, costituita dalle rubriche e dalle lettere, è anch'essa elegante. Effettivamente pare un po' disordinata la parte centrale, dedicata all'attualità. Ovviamente non per colpa dei grafici, ma di noi giornalisti, che interveniamo, modifichiamo...".
Cito dal Foglio di Giuliano Ferrara: "Il Fatto è l'unico giornale che, quando lo sfogli, tintinna". Definizione cattiva ma geniale, non trova? "Ahahah, guardi: pensavo che il tintinnio si riferisse al rumore del salvadanaio. Perché, vede, in questo momento la nostra è un'impresa molto florida".
Se la ride, eh? "Ma sì, scherziamoci sopra. Poi io sono contrario alle manette, per carità. Mi auguro solo che i delinquenti finiscano in galera". Come tutti. Anche come Beatrice Borromeo. A proposito: molti studenti delle scuole di giornalismo sono incazzati neri e si chiedono: 'Ma come gli è venuto in mente di concedere il praticantato alla Borromeo? "Anzitutto Beatrice ha un co.co.co. E poi io respingo con sdegno queste accuse. Beatrice Borromeo è, due punti virgolette, un'ottima giornalista, piena di idee, desiderosa di imparare e umile. Passa le lettere e scrive di tutto, dalle didascalie alle inchieste. Il 14 ottobre, ad esempio, ha pubblicato un bellissimo pezzo... Ecco, a pagina 7: Come licenziare 2mila persone senza che nessuno se ne accorga. Bene, questa inchiesta la porterei come esempio nelle scuole di giornalismo".
Merita un bel contrattino da praticante, allora. "Certo. Lo annuncio ad Affaritaliani.it: siccome sta dimostrando di essere molto brava, le darò presto il praticantato".
Ormai ha fatto la sua promessa. Io scrivo. "Scriva scriva. E devo dire un'altra cosa: le volgarità contro di lei, provenienti da molti altri giornalisti, sono la prova di cos'è diventato questo mestiere in Italia, sempre più autoreferenziale".
Mmm, leggo un sottile riferimento al dialogo a distanza tra i direttori Eugenio Scalfari e Ferruccio De Bortoli. "Dialogo? A me sembra più uno scambio de' bordate. I giornalisti non devono parlare dei giornalisti. Chi sono io per giudicare i miei colleghi? Chi sono per giudicare la qualità morale o professionale di un Feltri o di un Belpietro? Anche se fanno dei giornali differenti anni luce dalle mie idee, io li rispetto, perché penso che facciano molto bene il loro lavoro. Scambiarsi accuse del tipo 'Tu sei più servo di me', non solo non è giusto, ma è anche poco interessante. Noi giornalisti abbiamo altre storie di cui parlare".
Giusto. Quanto guadagna? "Eh eh eh".
Se non vuole non me lo dica. "No no. Anzi, sono contento della domanda. Io percepisco circa 5.200 euro di pensione al mese. Poi però, siccome dovevo dirigere un giornale, l'Inpgi ha chiesto che avessi almeno un contratto da articolo 1 del contratto giornalistico. Così mi sono fatto assumere e ho chiesto il minimo sindacale".
Quanto? "2.400 euro. Non mi sembra moltissimo, che dice? Ma io credo molto nel progetto e devo dare l'esempio".
Esempio che è stato seguito anche dagli altri? "Sì. Abbiamo chiesto ai nostri giornalisti di accontentarsi del minimo sindacale. Le grosse firme, quelle che venivano da altre testate, si sono accontentate di prendere esattamente quello che prendevano nelle testate di origine. Un atto di generosità, se pensa al rischio che hanno corso".
A proposito di grandi firme: ne ha in mente qualcun'altra da chiamare o qualche progetto in cantiere? "No, nel modo più assoluto. Ora dobbiamo pensare soltanto a consolidarci. Solo a dicembre capiremo veramente cos'è questo giornale. E solo allora saprò o no se fare quella passeggiata".
Quale passeggiata? "Come quale? Ma gliel'ho detto prima: quella al Santuario della Madonna del Divino Amore!".
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