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domenica 10 maggio 2009

auguri alle mamme (che amano troppo)


Sono cosciente che con questo post che mi accingo a scrivere non farò di certo la felicità di quei miei (pochi) lettori interessati alla politica e al sociale, ma so di certo che farò la felicità della mia mamma e di tutte le mamme. Sarà magari un post infarcito di retorica e di melensa nostalgia per il ricordo di quando da piccolo mi piaceva stare attaccato alla gonna della mia mamma, ma non allarmatevi: non scriverò di tutto ciò. Voglio semplicemente fare gli auguri in questo giorno dedicato a tutte le mamme, quindi anche alla mia che poche settimane fa sono riuscito, dopo averne fiaccato la resistenza, a far incontrare in tv la sua adorata conduttrice preferita. E' stato un pò come averle fatto il regalo in anticipo. Ma torniamo alle mamme, e al titolo che ho dato a questo mio post. E' vero, secondo me le mamme amano troppo. I propri figli soprattutto. Lo dico dopo aver letto un bellissimo libro scritto da Osvaldo Poli, conosciuto psicoterapeuta. Il titolo del suo saggio (perchè di questo si tratta, a mio parere) è Mamme che amano troppo (Edizioni San Paolo, 232 pagine, 13 euro) e si legge tutto d'un fiato. Forse per gli addetti ai lavori la sensazione è più forte, ma anche nel caso degli altri genitori un momento di fastidio sarebbe comprensibile: un altro libro sui genitori, su come diventarlo, esserlo, farlo bene? La tentazione, sono sincero, è di passare allo scaffale dei libri gialli o, meglio ancora, dei fumetti. E invece no. Mamme che amano troppo bisogna leggerlo. Impararlo a memoria. Digerirlo e soprattutto ruminarlo. Anzi, le parole di Osvaldo Poli bisognerebbe registrarle e riavviarle ogni volta che il virus della mamma buona attacca, ogni volta che la tentazione di fare al posto del figlio, di evitargli un dispiacere o una fatica, di raccontarsi che lui è così sta per erodere gli ultimi sprazzi di razionalità. Bisogna ascoltarlo non soltanto per il bene dei propri ragazzi, ma anche per quello della società, per non crescere piccoli tiranni e figli bamboccioni, come recita il lapidario sottotitolo. Il filosofo statunitense Elbert Hubbard (http://it.wikiquote.org/wiki/Elbert_Hubbard), che sul finire dell’800 non si preoccupava di gelare l’uditorio spiegando che «un amico è uno che sa tutto di te e nonostante questo gli piaci», e che «quando i genitori fanno troppo per i loro figli, i figli non faranno abbastanza per se stessi», si sentirebbe un generoso se venisse a conoscenza della ricetta dell’autore contemporaneo per trasformare le mamme che amano troppo in donne davvero sagge: «La guarigione coincide con la capacità di approntare una pozione magica, cucinata al fuoco del dolore con quattro ingredienti segreti: non posso farci niente, devo chiedere di più, è necessario soffrire per capire e, infine, bisogna essere se stesse». Ma prima di passare alla medicina occorre avere le idee chiare sulla malattia. Un’occhiata ai virus materni (ma anche paterni) descritti nelle pagine del saggio di Osvaldo Poli, in realtà, non lascia molto scampo alle mamme d’oggi che, del resto, avranno tanti difetti, ma non mancano di un pregio (se usato nei giusti limiti): quello di mettersi in discussione. Anzi, al posto di una scatola di cioccolatini o di una rosa, per la loro festa quest’anno potrebbero pensare di accettare in regalo un libro che sentenzia così: «Il nemico per eccellenza di ogni madre è il dolore del figlio».
Spiega lo psicoterapeuta Poli, che raccoglie da anni le inquietudini, le domande e lo scoraggiamento di tanti genitori, sia nei colloqui individuali che nelle tante occasioni di incontro pubblico: «Tutto il sentire materno è originato da questa preoccupazione: evitare al figlio di star male. Non che i padri non abbiano lo stesso desiderio, ma è il tipo di aiuto offerto a essere diverso. Il sentire femminile muove dal presupposto che i figli siano oggetti così fragili da non sopportare il dolore e che quindi vadano preservati a ogni costo, facendo scudo con la propria dedizione anche alla fattispecie di dolore più banale: la normale fatica della vita».
Mamme che aiutano troppo, che corrono a casa perché «domani abbiamo latino», che si fanno in quattro per appianare ogni problema e proteggere da ogni rischio, che si affannano a spiegare a insegnanti ed educatori che «lui è così, va preso così... preferisce cosà...». Mamme che sognano di sostituirsi, sedersi nel banco, buttarsi in piscina, entrare in campo al posto del bambino, a cui filtrare solo gioie e soddisfazioni. Le mamme dovrebbero diventare un po’ padri, proprio come quelli che incoraggiano ma lasciano che i figli affrontino difficoltà e problemi, convinti che non tutte le fatiche e le sofferenze siano distruttive e che, anzi , aiutino a crescere.
«Basterebbe applicare le virtù cardinali», consiglia Poli, che è non solo fine conoscitore d’animi ma anche arguto scrittore, «perché rappresentano altrettanti criteri di verifica dell’autenticità di un amore equilibrato. La prudenza, la giustizia, la fortezza e la temperanza ne salvaguardano l’autenticità». La prudenza permette di valutare con realismo, non filtrato dalle proprie paure né deformato dai propri bisogni, il carattere dei figli e le loro motivazioni, di vederli così come sono anche nei loro aspetti deludenti, di non darsi spiegazioni consolatorie del fatto che non studino, che non leghino con i compagni, che disturbino in classe, o che vogliano avere sempre ragione.
«La prudenza ricorda che non c’è amore senza verità, ma l’amore non può essere autentico senza giustizia, la virtù che richiede il rispetto della reciprocità. Come può ritenere di voler bene chi non riconosce e non rispetta i diritti dell’altro? Nello stesso tempo, l’amore autentico richiede anche di essere forti e fermi in alcune decisioni educative, anche se non sono capite o richiedono una dura lotta contro le proprie debolezze affettive. Facendo prevalere il bene del figlio sul proprio desiderio di piacere o sui propri sensi di colpa, si onora la virtù della fortezza». In buona sostanza ricordarsi che il compito dei genitori non è essere amici dei figli, e tantomeno simpatici, aiuta tantissimo quelli che sanno bene quanto sia più facile concedere piuttosto che dire no, lottando contro la paura di essere considerati cattivi o contro il senso di colpa.
Ma il problema è che nemmeno prudenza, giustizia e fortezza sono sufficienti perché, come mette in guardia Poli, «è necessaria anche la quarta e la più negletta delle virtù: la temperanza, che esprime la necessità della misura, in opposizione a tutto ciò che appare esagerato, eccessivo, che supera il limite invisibile, ma reale, del conveniente. La protezione eccessiva dei figli può diventare un’opprimente campana di vetro, mentre la misura distingue l’accontentare dal viziare, stare vicino dall’essere appiccicosi e impiccioni. La disponibilità a essere accanto, aiutare, venire incontro ai bisogni dei figli deve avere una misura. La virtù della temperanza ricorda che la mancanza di misura ha il suono di una moneta falsa, e che amare davvero è sostanzialmente diverso dall’amare troppo». Insomma, volete un consiglio d'amico: regalate alle mamme questo libro di Osvaldo Poli. Non ve ne pentirete. Post scriptum: Osvaldo Poli non è un mio consanguineo...

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