il fortino (assediato) della Magistratura
I riflettori dell'informazione tornano ad accendersi in questi giorni sulla Magistratura in occasione dell'apertura dell'Anno Giudiziario, pomposa e forse un pò retorica manifestazione di autocompiacimento e di autoreferenza dei magistrati con l'ermellino sulle spalle. E ci si chiede: ma il cerchio intorno al sistema di autogoverno e autonomia della magistratura si sta chiudendo? I sussurri e le grida all'indomani della citata inaugurazione e del concomitante sciopero generale delle camere penali, per l'accelerazione di riforme altamente condivise con il governo, non sembrano lasciare dubbi. A ciò bisogna aggiungere anche che il ministro Angelino Alfano chiede più poteri, con la sicumera di poterli ottenere grazie all'identico desiderio del suo presidente e mentore di Arcore. Il Procuratore generale della Cassazione, Vitaliano Esposito, con l'evocazione di una Magistratura in crisi di identità (e con l'esortazione a non scontrarsi con la politica elaborando «nuove strategie di ruolo miranti a recuperare una coesione culturale al suo interno»), cerca forse una riduzione del danno chiedendo alla stessa un'autoriforma. Nulla da fare perché il dado è tratto e non si torna indietro. Che il centrodestra voglia la sottoposizione del Pubblico Ministero all'esecutivo è cosa abbastanza scontata e oramai urlata ai quattro venti, così come è scontato che voglia la paralisi della macchina giudiziaria (migranti a parte) per evitare ulteriori «scherzi» ai colletti bianchi. Solo uno sprovveduto, o un drittone, per esempio, poteva pensare a un collegio di tre giudici per la gestione delle intercettazioni. Per il sistema delle incompatibilità, si paralizzeranno subito i piccoli tribunali e, nel giro di pochi mesi, anche i grandi. Solo uno studente in Legge poco preparato, o preparatissimo, poteva richiedere gravi indizi di colpevolezza per le autorizzazioni alle intercettazioni, per le quali, quindi, in seguito, ci vorranno sentenze di condanna passate in giudicato. I problemi, però, non sono solo questi e proprio partendo dalle parole non dette dal PG della Cassazione Esposito si potrebbe cogliere il nodo della crisi di identità della nostra Magistratura, sicuramente stretta in una morsa tra inadeguatezza del servizio reso ai cittadini (per inefficienza delle strutture e arretratezza dei codici innanzitutto) e una palese mutuazione di modelli di condotta tipici della politica: la cosiddetta politicizzazione, sia nell'Associazione Nazionale Magistrati che nel Consiglio Superiore della Magistratura. La perdita dell'identità passa per una totale assenza di un grande dibattito interno. Ma anche con i cittadini, sui temi che più li toccano. Come ad esempio le garanzie costituzionali di difesa e dei diritti fondamentali, in continuo arretramento sotto i colpi dei vari decreti-sicurezza, dal primo Maroni a quello odierno. E meno male che per i migranti si è speso il Presidente della Corte Costituzionale! Silenzio assoluto sulle responsabilità dei padroni per la strage continua di lavoratori per gli incidenti sul lavoro o sulle responsabilità dei governi e degli enti locali per il degrado del territorio, l'inquinamento dell'aria e l'avanzata inesorabile del cemento e dei cementificatori. E si potrebbe continuare, per poi chiedersi perché, in una fase di crisi profonda di una sinistra ormai polverizzata, ci si dovrebbe battere «anche» per questa Magistratura così disattenta ai diritti e alle garanzie. È il dilemma in cui ci si agitava anche nell'epoca più buia della Magistratura italiana, quando ci si chiedeva che senso aveva battersi per l'indipendenza della Cassazione o della macchina giudiziaria romana, così attente a non turbare il potere politico dominante (allora) della Democrazia Cristiana e soci. Eppure proprio allora molti giudici italiani (collegandosi con i settori più progressisti della società) contribuirono, con le loro battaglie culturali, giuridiche e politiche, a far crescere la richiesta di maggiore democrazia sia all'interno del Paese che all'interno della Magistratura stessa. Oggi è tutto più difficile di allora, ma poiché hanno (e abbiamo) l'acqua ben oltre la gola, è necessario che i magistrati ripensino se stessi e si ridiano un ruolo di modello istituzionale che non sia lo scimmiottamento della politica. Chissà che non siano proprio loro a dare una buona lezione ad una cattiva politica della sinistra.
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