Lilli & la reprimenda (fuori luogo) di Avvenire
Francamente è un pò di tempo che sto notando come alcune rappresentanze del mondo cattolico, in particolar modo quelle espresse tramite la stampa quotidiana e settimanale, si stiano pervicacemente (secondo me senza ragione) e ottusamente occupando di persone e fatti al di fuori del loro contesto operativo di discussione, che a rigor di logica dovrebbe essere costituito da salmi e gloria padre. Invece i direttori di Famiglia Cristiana prima (basta rileggersi qualche articolo a tal proposito, http://www.repubblica.it/2008/03/sezioni/politica/verso-elezioni-8/famiglia-cristiana/famiglia-cristiana.html o anche http://www.repubblica.it/2008/08/sezioni/cronaca/sicurezza-politica-13/attacco-famiglia-cristiana/attacco-famiglia-cristiana.html) e quello di Avvenire poi hanno dato il cattivo esempio di chi mette il becco in affari che non li riguardano nè direttamente nè tantomeno teologicamente. Ma il caso più clamoroso riguarda la reprimenda esercitata sulle pagine del quotidiano cattolico dal direttore Dino Boffo che, rispondendo ad una lettrice, bacchetta sia professionalmente che umanamente la povera Lilli Gruber, rea di non esercitare al meglio il suo diritto-dovere nell'informare il pubblico televisivo de La7 nella sua nuova conduzione di Otto e mezzo e addirittura criticandola per aver abbandonato il seggio da europarlamentare. Volevo riproporre la lettera della lettrice e la risposta del direttore di Avvenire, facendo però prima una piccola chiosa. A mio parere, censurare e bacchettare professionalmente una signora del giornalismo (televisivo e non) come la Gruber suscita un pò il senso del ridicolo. Da quale pulpito (è proprio il caso di dirlo) professionale proviene il predicozzo? Da un direttore di un quotidiano che ha lo stesso numero di lettori pari al totale degli inquilini del mio palazzo. Un direttore-sacerdote che, invece di pensare ad assolvere qualche peccato commesso dai suoi fedeli, se ne esce con le reprimende fuori luogo e fuori tempo massimo. Andiamo su, siamo seri caro Boffo. Pensiamo a censurare e bacchettare (se ne ha voglia e tempo) gli sculettamenti delle signorine in cerca di notorietà di cui sono pieni gli schermi televisivi degli ultimi anni (e senza dover andare su isole lontane...), piuttosto che mettere in mora le qualità tout court di chi da trent'anni è in tv ed è andata a sfidare le bombe in qualità di inviata di guerra invece che starsene al caldo di una redazione o di pontificare da qualche pulpito reale o virtuale che sia. Ecco ora il testo della lettera e della risposta di Boffo.
Caro Direttore, ho appena seguito in 'Otto e mezzo' la discussione introdotta dalla signora Lilli Gruber, da cui apprendo che i vescovi italiani tramite Avvenire si mostrerebbero contrari all’introduzione del doppio cognome al figlio della coppia. E da questa asserzione ci si domandava come mai la Chiesa italiana interferisca anche in questo, ecc... Subito apro Avvenire (24/9) e leggo l’editoriale di Francesco Riccardi in cui si disapprova l’intervento della Cassazione, che forza un cambiamento della legge attuale e dà via libera a un’altra normativa, sostituendosi al legislatore. Non si parla affatto di contrarietà o resistenza dei vescovi a un eventuale cambio della legge attuale, già proposto d’altronde nella passata legislazione. Come spiegare questo abbaglio della signora Gruber? Lucia Elvira Cattaneo.
Nessuna buona azione rimarrà impunita, celebre battuta che stavolta mi calza a pennello. Così, dopo aver scelto dapprima di sorvolare sui contenuti della seconda puntata di 'Otto e mezzo', è lei stessa, gentile signora, a impormi di mettere nero su bianco qualche considerazione purtroppo sgradevole. Non vorrei tanto soffermarmi sull’abbandono anzitempo del seggio europeo per tornare davanti alle telecamere: continuo a considerare non proprio elegante il comportamento di chi tratta la rappresentanza politica parlamentare – nazionale o europea che sia – come un giocattolo che qualcuno regala a prescindere dagli elettori e che si può abbandonare disinteressandosi degli stessi, solo perché se ne affaccia un altro che pare più stimolante. Mi chiedo piuttosto come può una giornalista di fama 'progressista' non provare qualche remora a diventare la bandiera di una tv che in perfetta simultanea col suo arrivo espelle venticinque colleghi, ma riconosco che la mia idea di buon gusto può non combaciare con quella di Lilli Gruber, giornalista che personalmente conosco e alla quale non fatico ad accreditare un certo appeal, impastato da una buona dose di disinvoltura. Venendo però alla questione specifica, non posso far altro che riconoscere che lei, signora Cattaneo, ha perfettamente ragione: l’intemerata contro noi di Avvenire (i vescovi cosa c’entrano?) dimostra che la conduttrice non aveva letto l’articolo del collega Francesco Riccardi. Lo criticava davanti alla platea televisiva, ma non l’aveva letto. Infatti non c’è neppure una riga nel pezzo di Riccardi che condanni l’ipotesi che si aggiunga il cognome della madre a quello del padre. L’articolo denunciava il fatto che a promuovere l’iniziativa fosse non una legge ma, ancora una volta, una decisione 'innovativa' della – recidiva – Prima Sezione della Corte di Cassazione. La nostra idea di democrazia prevede che a varare le leggi sia il Parlamento e che alla magistratura competa la loro applicazione fedele. Questo era il tema, evidente fin dal titolo, che non a caso suonava così: 'L’insostenibile creatività della solita sezione', quella che animata da una nota magistrato-donna sta pezzo dopo pezzo ri-scrivendo il diritto di famiglia, surrogando senza remora alcuna il povero Parlamento. Che non fiata. Dell’anomalia s’è accorto persino il 'Corriere della Sera' che l’altro giorno, grazie alla penna di Paolo Franchi, ha efficacemente stigmatizzato l’allegro andazzo. Ma 'Otto e mezzo' ha preferito buttarla in caciara, farne una questione di genere. E tuttavia si può chiedere anche a una divinità del video di documentarsi (cioè di leggere) prima di criticare? Certo che si può. Si deve farlo.
Caro Direttore, ho appena seguito in 'Otto e mezzo' la discussione introdotta dalla signora Lilli Gruber, da cui apprendo che i vescovi italiani tramite Avvenire si mostrerebbero contrari all’introduzione del doppio cognome al figlio della coppia. E da questa asserzione ci si domandava come mai la Chiesa italiana interferisca anche in questo, ecc... Subito apro Avvenire (24/9) e leggo l’editoriale di Francesco Riccardi in cui si disapprova l’intervento della Cassazione, che forza un cambiamento della legge attuale e dà via libera a un’altra normativa, sostituendosi al legislatore. Non si parla affatto di contrarietà o resistenza dei vescovi a un eventuale cambio della legge attuale, già proposto d’altronde nella passata legislazione. Come spiegare questo abbaglio della signora Gruber? Lucia Elvira Cattaneo.
Nessuna buona azione rimarrà impunita, celebre battuta che stavolta mi calza a pennello. Così, dopo aver scelto dapprima di sorvolare sui contenuti della seconda puntata di 'Otto e mezzo', è lei stessa, gentile signora, a impormi di mettere nero su bianco qualche considerazione purtroppo sgradevole. Non vorrei tanto soffermarmi sull’abbandono anzitempo del seggio europeo per tornare davanti alle telecamere: continuo a considerare non proprio elegante il comportamento di chi tratta la rappresentanza politica parlamentare – nazionale o europea che sia – come un giocattolo che qualcuno regala a prescindere dagli elettori e che si può abbandonare disinteressandosi degli stessi, solo perché se ne affaccia un altro che pare più stimolante. Mi chiedo piuttosto come può una giornalista di fama 'progressista' non provare qualche remora a diventare la bandiera di una tv che in perfetta simultanea col suo arrivo espelle venticinque colleghi, ma riconosco che la mia idea di buon gusto può non combaciare con quella di Lilli Gruber, giornalista che personalmente conosco e alla quale non fatico ad accreditare un certo appeal, impastato da una buona dose di disinvoltura. Venendo però alla questione specifica, non posso far altro che riconoscere che lei, signora Cattaneo, ha perfettamente ragione: l’intemerata contro noi di Avvenire (i vescovi cosa c’entrano?) dimostra che la conduttrice non aveva letto l’articolo del collega Francesco Riccardi. Lo criticava davanti alla platea televisiva, ma non l’aveva letto. Infatti non c’è neppure una riga nel pezzo di Riccardi che condanni l’ipotesi che si aggiunga il cognome della madre a quello del padre. L’articolo denunciava il fatto che a promuovere l’iniziativa fosse non una legge ma, ancora una volta, una decisione 'innovativa' della – recidiva – Prima Sezione della Corte di Cassazione. La nostra idea di democrazia prevede che a varare le leggi sia il Parlamento e che alla magistratura competa la loro applicazione fedele. Questo era il tema, evidente fin dal titolo, che non a caso suonava così: 'L’insostenibile creatività della solita sezione', quella che animata da una nota magistrato-donna sta pezzo dopo pezzo ri-scrivendo il diritto di famiglia, surrogando senza remora alcuna il povero Parlamento. Che non fiata. Dell’anomalia s’è accorto persino il 'Corriere della Sera' che l’altro giorno, grazie alla penna di Paolo Franchi, ha efficacemente stigmatizzato l’allegro andazzo. Ma 'Otto e mezzo' ha preferito buttarla in caciara, farne una questione di genere. E tuttavia si può chiedere anche a una divinità del video di documentarsi (cioè di leggere) prima di criticare? Certo che si può. Si deve farlo.
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