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martedì 9 settembre 2008

10 anni senza il nostro caro Lucio


La mattina del 9 settembre del 1998, in una stanza del secondo piano della terapia intensiva dell'Ospedale San Paolo di Milano, moriva a seguito di un tumore al fegato un mito della musica leggera italiana. Lucio Battisti, il rivoluzionario delle emozioni (come lo definì mirabilmente il critico musicale Mario Luzzatto Fegiz) nonchè compagno in sottofondo delle storie d'amore di chissà quanti italiani, ci lasciò senza far rumore, coperto dalla cortina impenetrabile del silenzio eretta dalla moglie Grazia Letizia Veronesi e dal figlio Luca. Un modo discreto e garbato per andarsene, specchio riflesso della sua indole e della sua anima non contaminate dal business delle canzoni e dai lustrini dei palcoscenici televisivi. Per ricordarlo ho scelto di integrare questo mio post con un bellissimo articolo scritto il giorno dopo la sua morte dal politologo Ernesto Galli Della Loggia per il Corriere della Sera e con due trasmissioni televisive rievocative della figura e delle canzoni di Lucio (e dei testi poetici di Giulio Rapetti, in arte Mogol): Matrix di venerdì scorso (http://www.matrix.mediaset.it/videogallery/2008/09/06/videogallery.shtml) e TG2 Dossier di domenica pomeriggio (http://www.raiclicktv.it/raiclickpc/secure/stream.srv?id=40320&idCnt=78077&path=RaiClickWeb^Notizie^Home). E questo era l'articolo di Della Loggia di 10 anni fa. C'e' un tributo che ogni generazione e' chiamata a pagare al proprio romanzo di formazione, ed e' un triste tributo perche' l'ora in cui esso chiede con maggiore urgenza di essere pagato e' per lo piu' l'ora della morte di chi ha scritto o animato le pagine di quel romanzo. Nulla come la subitanea scomparsa determinata dalla morte rende consapevoli della lunga durata di certe presenze. Per la generazione che fu giovane tra gli anni Sessanta e Settanta Lucio Battisti ha rappresentato una di queste presenze. Le sue canzoni accompagnarono le opere e i giorni, scandirono le avventure, gli amori, gli incontri di coloro il cui romanzo di formazione si svolse in quel decennio tumultuoso e irripetibile. Ne hanno segnato per sempre le emozioni, per usare la parola fatale che forse come nessun'altra e' in grado di far rivivere nel ricordo il mondo di Battisti. E poco importa - come gli attenti filologi avranno subito lo scrupolo di annotare - che in realta' egli fu solo il musicista delle sue canzoni, e che e' al grande Mogol che va il merito dei loro testi straordinari. Poco importa, perche' egli fu sì il musicista ma pure il cantante e l'arrangiatore, e senza quelle note e quella sua voce esile e rotta, così intrisa di una sgraziata gioventu', anche quei testi non sarebbero mai riusciti - come invece riuscirono - a divenire le epigrafi di un'epoca e di una generazione. Al pari delle canzoni di Mina, anche le canzoni di Battisti rimarranno nella storia del costume italiano come quelle che piu' tipicamente hanno saputo dare voce, nell'esperienza del nostro Paese, a uno dei momenti piu' cruciali dell'avvento della modernita': il cambiamento dei rapporti tra i sessi. I giovani uomini cantati da Battisti non assomigliavano quasi piu' in nulla ai loro padri. Avevano perduto tutte le sicurezze tradizionali dei maschi, e insieme qualsiasi orgoglio di ruolo, qualsiasi idea di dominio vuoi sul mondo vuoi sulle donne. Assomigliavano piuttosto a dei cuccioli selvatici sballottati tra velleita' e rimorsi, ansiosi di una carezza ma pronti anche a mordere la mano di chi ci avesse provato. E tali molti di loro si sarebbero sempre sentiti. Da essi, infatti, comincio' quella generazione di uomini destinati a non crescere mai - a restare in un certo senso degli eterni ragazzi, con i gusti, l'immagine di se' e anche la poca consapevolezza delle proprie responsabilita' - che tanto spazio avrebbe occupato nell'antropologia italiana degli anni successivi. Guidato dalla rabdomantica sensibilita' del suo paroliere, Lucio Battisti fu capace come pochi altri di esprimere questo mutamento dei ruoli di genere, riuscì a calare nell'incertezza radicale prodotta da tale mutamento l'emozione eterna del cuore e dei sentimenti, ma che proprio per cio' era ora un'emozione ancora piu' fragile e piu' disperata, anticamera di uno spaesamento esistenziale non lontano da suggestioni e da echi di sapore giovanilmente nichilistico. E di nuovo, così, anche per questa via, egli giunse puntuale all'appuntamento con la generazione di quegli anni agitati e rovinosi. Le canzoni di Battisti sancirono la difficolta' che la modernita' italiana ebbe, sullo sfondo repentinamente in rovina del mondo di ieri, di accettarsi sino in fondo e di sapersi costruire con tranquillita' come tale: senza residui ne' di rimpianti ne' di illusioni. A ben vedere, quella difficolta' e' ancora la nostra. Ed e' forse proprio per questo che i figli dei figli di quell'epoca, che fu solo di Lucio Battisti, ancora oggi intonano e ripetono il loro personale canto libero.

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