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mercoledì 10 settembre 2008

inversione di ruoli


In questi ultimi giorni stavo riflettendo sulla figura del nuovo ministro dell'Istruzione, Università e Ricerca Maria Stella Gelmini, sempre più al centro dell'attenzione mediatica dopo un inizio alquanto defilato dietro le quinte del governo berlusconiano. Questa trentacinquenne bresciana dall'aria abbastanza sorniona e cheta, con una laurea in giurisprudenza (specializzazione in diritto amministrativo) e con l'abilitazione alla professione forense ottenuta presso la Corte di Appello di Reggio Calabria nel 2002 (sono note le polemiche al riguardo), è assurta a protagonista delle cronache politiche (e non solo) per le sue uscite sui famosi grembiulini da ripristinare nelle scuole elementari e dell'obbligo, sulla polemica riguardante il suo giudizio non propriamente benevolo nei confronti degli insegnanti del Sud Italia e, da ultimo, il suo annuncio del pesante taglio nel numero dei docenti (circa 90.000) per risanare il sistema scolastico italiano. Ora, senza entrare nel merito e nel giudizio personale sulle sue estemporanee dichiarazioni e bislacche idee al riguardo, mi permetterei di suggerire al gentile ministro, che ha l'occhio di riguardo per le elementari (da notare che sia la madre sia la sorella sono maestre elementari), di provare a fare una piacevole inversione nei ruoli: lei da ministro a maestra e una maestra a ministro. Magari (prima di calarsi nei panni di docente) dando un'occhiata ad una bella lettera scritta da una professoressa di una scuola di Roma e pubblicata l'altro ieri su l'Unità. Potrebbe trovare buoni spunti per una sana riflessione. Ecco la lettera nella sua integralità. Autostrada del Sole, domenica pomeriggio. Stanca, sono stanca; alzataccia alle 5.30 per raggiungere Firenze da Roma e partecipare all’assemblea dell’associazione «Per la Scuola della Repubblica»: insegnanti autoconvocati che si vedono periodicamente per discutere di scuola. La notizia non mi coglie di sorpresa. Si tratta del leit motiv di questa estate: il ministro dell’Istruzione ha per l’ennesima volta parlato male degli insegnanti. Ho smesso da tempo di idealizzare i docenti della scuola italiana; uno sguardo imparziale penso dia conto dell’ovvia eterogeneità delle figure che popolano il mondo della scuola. Proprio uno sguardo imparziale può però consentire una sterzata realistica ad un immaginario collettivo fagocitato da una irresponsabilità istituzionalizzata. Caccia agli untori: secondo Gelmini e i suoi mentori, gli insegnanti. Tutti o quasi. Categoria di cui io faccio parte. Insieme a tanti come me. Penso a domani. Il rito degli scrutini, dopo il rito degli esami per il recupero del debito: ragazzi con carenze diffuse ed eterogenee accumulate in più anni sottoposti a corsi brevi e frammentati, in classi improvvisate, con insegnanti diversi dal proprio. Penso a dopodomani. Assegnazione delle cattedre; collegio docenti. E poi ancora, riunione per materie. E così via, fino al giorno in cui ci verrà chiesto di rientrare in classe, in questa estenuante preparazione di inizio settembre. Penso. All’anno che verrà. Agli anni che sono passati. Sveglia presto, due bambini da accompagnare in due scuole diverse. Arrivo a scuola, sempre in orario: non si può chiedere agli studenti di rispettare le regole quando non le si rispetta per primi. Mattinate rilassate, mattinate faticose; è una generazione problematica, che chiede attenzione in un modo a volte nemmeno più tanto originale, purtroppo: tre ragazze anoressiche su tre classi. Problemi differenti, veri e propri drammi, intralci di quel passaggio delicato che è l’adolescenza, fantasia ed emotività imbrigliate in una coercizione che di educativo ha ormai solo il nome: scuola. Interessarli, incuriosirli è ogni giorno una sfida contro il tempo e contro le lusinghe del fuori e le seduzioni del mercato. Fornirgli risposte è una cabala impietosa, che spesso mette a contatto con la propria inadeguatezza. Schizzo per andare a riprendere i figli: affamati, stanchi, fucine di domande. I compiti da fare, le attività pomeridiane da svolgere. Penso. A una società che ancora viaggia sull’idea che gli insegnanti lavorino 4 ore al giorno e abbiano 3 mesi di vacanza. Mediamente torno a scuola 3-4 pomeriggi a settimana. Quando non torno ho valanghe di lavori da correggere: da sempre i miei studenti liceali ogni 10 giorni sono chiamati a scrivere un saggio breve, un articolo di giornale, una relazione. Oltre ai proverbiali compiti in classe. Ma d’altra parte si sa: a scrivere si impara scrivendo. E discutendo le correzioni. Su 3 classi, circa 2500 lavori corretti ogni anno. I risultati si vedono. Ma lo sappiamo io e loro. E adesso voi. Penso: le commissioni, i progetti, l’investimento sull’innalzamento dell’obbligo scolastico, il tentativo di riflettere sulle trovate che ciascun governo ha proposto, che quello seguente ha puntualmente rimosso. L’aggiornamento, inutile e non riconosciuto (e semmai boicottato): esercizio di amor proprio, di dignità professionale. Il rapporto con le famiglie, la ferma volontà di arginare il tentativo di creare un mercato della scuola e di fare della scuola un mercato: l’utente non ha sempre ragione. Penso. Il patto scellerato, la femminilizzazione della professione. Essere mamma e insegnante non è una cosa facile, quando si è scelto di interpretare la propria dimensione professionale con dignità intellettuale, culturale, relazionale. Con dignità politica, in senso ampio. Che è quella che mi ha consentito in questi anni di essere un’insegnante scrivendo, partecipando a convegni, riflettendo nella scuola e con la scuola sulla complessità di un impegno che si concretizza nel formare cittadini consapevoli, critici, autonomi. Provando a fornire loro risposte attraverso la declinazione di alfabeti diversi, quali sono quelli che la complessità ci propone. Ma i miei figli devono essere ripresi, raggiunti, riportati a casa. È bello trovare un po’ di tempo per parlare con loro, ancora un po’. C’è la cena da preparare, la casa da sistemare. La critica su Ariosto merita di essere rivista, per individuare chiavi di lettura alternative a quelle proposte negli anni precedenti; il brano di Tacito riguardato nei suoi passaggi fondamentali. Lo faccio per me, lo faccio per loro, i miei liceali. Il 5 in condotta non sarà un mio problema. Ma intanto so che a Torino qualcuno si sta preoccupando di reperire strumenti adatti - cultura di massa, film, formazioni di calcio - per coinvolgere quelli che lì chiamano «truzzi», qui a Roma «coatti»: a Palermo, a Napoli, a Milano - universalmente - gli «sfigati», che la scuola può salvare da dispersioni non solo scolastiche, ma esistenziali. Penso: ho ancora una cesta di panni da stirare. Vado a letto, ministro: a rimuginare sul senso di tutto ciò e sul fatto che - per 1390 euro al mese - sono stanca di essere insultata. Firmato: Marina Boscaino.

2 Commenti:

  • Alle mercoledì 10 settembre 2008 alle ore 18:35:00 GMT+2 , Anonymous Anonimo ha detto...

    Buonasera,trovo questa lettera molto indicativa della situazione attuale.Il Governo non fa altro che gettare fango su tutte le categorie lavorative,non affrontando i problemi,ma gettando solo fumo negli occhi dell'opinione pubblica.Troppo comodo scaricare le proprie responsabilità politiche sempre sugli altri.Mauro.

     
  • Alle mercoledì 10 settembre 2008 alle ore 18:46:00 GMT+2 , Blogger nomadus ha detto...

    Caro MAURO, ho pubblicato la lettera della professoressa proprio per sensibilizzare (ma credo sia un'impresa improba) quella fetta di elettorato berlusconiano che, coprendosi gli occhi e turandosi il naso, hanno dato qualche mese fa la loro preferenza al cavaliere ma che oggi dovrebbero riaprire gli occhi e cercare di respirare un'aria nuova, non prima però di aver spazzato via (non solo in senso figurato) le cause che determinano la stagnante e maleodorante aria berlusconiana. Spero vivamente che la professoressa sia d'esempio.

     

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