quel maledetto colpo di pistola
Il 20 luglio 2001 a Genova, in piazza Alimonda, nel corso delle manifestazioni contro il G8 e durante gli scontri tra alcuni no-global e le forze dell'ordine, un colpo di pistola sparato dal carabiniere Mario Placanica pone fine tragicamente alla giovane vita di Carlo Giuliani. Sono esattamente le ore 17,27. L'autopsia certificherà che ad ucciderlo è un proiettile entrato all'altezza dello zigomo sinistro e fuoriuscito dalla zona occipitale. La morte non è istantanea. Giuliani agonizza per almeno 15 minuti, protetto da un cordone di polizia. Un medico volontario del Genoa Social Forum, il primo a portargli soccorso, riferisce di un battito cardiaco flebile, dell'impossibilità di verificare in quei frangenti in quale zona del cranio si sia aperta la ferita. Di una lacerazione «a stella» sulla fronte, erroneamente individuata in un primo momento come la lesione mortale. A conferma della difficoltà, il medico legale, rileva le dimensioni modeste del foro d'entrata del proiettile — 8 millimetri — non quelle del foro di uscita, comunque più piccolo del primo. Carlo Giuliani — le immagini fotografiche e televisive non lasciano spazio al dubbio — viene colpito mentre a breve distanza da un Land Rover defender dei carabinieri solleva all'altezza delle spalle un estintore scarico del suo contenuto e del peso di circa sei chilogrammi. La jeep dell'Arma, in quel momento, è chiusa su un lato di Piazza Alimonda. Il muso incastrato in un cassonetto, il lunotto posteriore infranto, il motore spento. Sulla jeep si è già abbattuta una prima volta la furia di una decina di manifestanti. E' stata investita sulla fiancata destra da un colpo di asse. L'estintore, che Giuliani solleva al momento della morte, è già stato scagliato una prima volta contro il defender. Ha colpito il tetto, è rimbalzato sulla ruota di scorta prima di ricadere sull'asfalto. Intorno, piovono sassi. Nel defender dell'Arma sono in tre: il carabiniere di leva Dario Raffone, l'autista a ferma biennale Filippo Cavataio e l'ausiliario Mario Placanica. Tutti in forza al dodicesimo battaglione «Sicilia». La jeep ha il lunotto posteriore sfondato. Le immagini fotografiche e televisive mostrano un braccio teso ad impugnare una calibro 9 di ordinanza, rivolta in direzione di Giuliani. Le registrazioni foniche documentano l'esplosione di due colpi. Quanti sono i bossoli ritrovati nell'immediatezza del fatto. Uno all'interno del defender, l'altro all'esterno, sull'asfalto. L'incrocio tra le immagini e il picco delle onde sonore fatte registrare dall'esplosione dei colpi documentano senza ombra di dubbio che nel momento in cui la pistola spara una seconda volta, Carlo Giuliani è già sull'asfalto in un lago di sangue. L'intera sequenza dura trenta secondi. Quanti ne sono passati tra il primo assalto dei manifestanti e il secondo colpo di pistola. Ne restano 4 di secondi, prima che la jeep esca dal campo visivo. Il motore del defender riprende vita. L'autista Cavataio innesta la marcia indietro travolgendo il corpo di Giuliani. Quindi lo sormonta una seconda volta in senso inverso. La notte del 20 luglio il canovaccio è pressoché scritto. Interrogato, Placanica, «che zoppica manifestamente con la gamba destra e mostra un ginocchio destro gonfio ed escoriato», dichiara di aver esploso due colpi della pistola di ordinanza, ma di ignorare contro chi. Così ricostruisce il momento chiave nel verbale di interrogatorio: «Mi sono messo a gridare, dicendo all'autista di scappare ed urlandogli che ci stavano ammazzando. Eravamo infatti circondati e io ho inteso che ce ne fossero centinaia(...). Ho visto in difficoltà il mio collega e ho pensato che dovevo difenderlo. L'ho abbracciato per le spalle e ho cercato di farlo accucciare sul fondo della jeep. (...) Continuavano ad arrivare pietre nella vettura. Il mio amico è rimasto colpito da una pietra sotto l'occhio. Sempre più terrorizzato urlavo all'autista di muoversi che non ce la facevo più. Dopo aver gridato mi hanno colpito con una grossa pietra in testa di colore bianco con i lati taglienti. Per ben due volte. Alla vista del sangue e del mio amico ferito ho messo il colpo in canna alla pistola che tenevo in una fondina a coscia, rimettendo però la sicura. Intimavo ai manifestanti di farla finita, sennò avrei sparato. Loro imperterriti hanno continuato a lanciare pietre. Nell'agitazione, e cercando di difendermi, mi sono accorto a posteriori che con la mano avevo inavvertitamente levato la sicura. Il lancio è continuato ed ho sentito la mia mano contrarsi e partire dalla pistola due colpi (...). Alla mia vista, nel momento in cui puntavo la pistola, non avevo persone». L'arma di Placanica — soltanto la sua — viene sequestrata. E' tutto chiaro. Il caso, come del resto invitano a fare gli avvocati dell'Arma, potrebbe chiudersi ora, subito, lì, alle 00.10 del 21 luglio, quando viene chiuso il verbale di interrogatorio. Il giovane carabiniere ha sparato per legittima difesa. Ma intanto una maledetta pallottola ha reciso per sempre la giovane vita di Carlo Giuliani.
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