dategli la due (anche in paradiso)
Ho rivisto ieri sera su Italia 1 lo speciale che il direttore di Studio Aperto, vale a dire Giorgio Mulè, ha dedicato alla scomparsa di Gianfranco Funari, avvenuta ieri mattina intorno a mezzogiorno nella clinica milanese San Raffaele. Uno speciale ben fatto, con il meglio delle apparizioni del camaleontico e provocatore conduttore romano, adottato negli ultimi anni dai milanesi. E tra tutti gli inserti televisivi dedicati a Funari (da segnalare questo estratto di Enrico Lucci da le Iene, http://it.youtube.com/watch?v=L67X0H3O7Cc), quello che più mi ha fatto piacere rivedere è stato senza dubbio l'intervento-testamento a il senso della vita su Canale 5 del 15 dicembre 2005, ospite di Paolo Bonolis.
Tutta la puntata era stata occupata, in modo assolutamente stupefacente, da una presenza. Quella di un uomo-tv che non si vedeva da anni, relegato com’era in trasmissioni di reti minori (Odeon Tv) dopo un’uscita dalla Rai a dir poco, ancora oggi, misteriosa. E che ha dato, a chi ha avuto la fortuna di vedere la trasmissione, una lezione: di onestà, di libertà, di capacità professionali, di decoro, di dignità, di senso della televisione e di intelligenza. E, ammesso che la parola abbia ancora un senso nella Tv di oggi (compresa quella di Bonolis), di umanità. Gianfranco Funari, appunto. È stato un personaggio televisivo importante (lo dico per i più giovani), titolare di trasmissioni di discussione, anche di politica, prima a TeleMontecarlo (allora c’era), poi alla Rai. Di solito lo si definiva un populista, o anche un capopopolo. Interrogava in studio politici e similari senza infingimenti, senza inchini, senza le mellifluità e le ruffianerie oggi così comuni e indecenti. Non stava né da una parte né da un’altra. Non aveva scritto in fronte il partito di riferimento, come oggi. Era iracondo, magari esagerato nel porsi dalla parte della "gente comune", magari un po’ retorico. Usava il mezzo televisivo in modo rivoluzionario: da lui hanno imparato tutti (è stato il primo a passeggiare in studio, a fare le pause, ad andare verso la telecamera fino a farsi riprendere in primissimo piano, per sottolineare un concetto: Bonolis lo fa regolarmente, adesso). Non si sa perché, a un certo punto venne messo alla porta. Sparì. Siccome non era titolare di tessere, o almeno non le esibiva, non ci fu uno, e dico uno, che protestò. Nessuno gli propose un seggio in Europa né una presidenza regionale. Sparito. Se si pensa a quello che accade nell’Italiaccia di oggi, è incredibile. Con Bonolis, come poche volte misurato (va detto a suo onore), Funari ha parlato di tutto, si è arrabbiato, si è commosso. Ha mostrato, addirittura con una maggiore abilità di quanto non facesse una volta, come si è grandi in televisione: alternando tenerezze a ruvidità, parlando di sé e mostrandosi, e qualche volta scoprendosi, ma sempre con senso della misura; ed esagerando, anche platealmente, quando l’argomento lo richiedeva, con un dosaggio da meraviglioso padrone del mezzo. Ha parlato anche con il corpo, muovendosi, agitando le mani, giocando con l’elegante bastone che usava per camminare. È stato un eccezionale istrione, nel senso migliore del termine. A un certo punto si è avuta l’impressione, netta, che Bonolis lo guardasse ammirato: lo ha lasciato dire a volontà, ha capito (è stato bravo) che la trasmissione si giocava su di lui come un mattatore, non lo ha mai interrotto, gli ha fatto da spalla. Funari era un fiume in piena, ma guidato da un senso del pubblico e della "presenza" a se stesso che raramente è stato dato di vedere in televisione. Non si è parlato addosso, è stato ruvido e leggero, elegante e popolare. È l’unico in cui la concessione, frequente, alla parlata romanesca non è fine a se stessa, ma una scelta espressiva, addirittura raffinata. È stato strepitoso. Viene da chiedersi come abbia fatto la Rai, in tanti anni di ostruzionismo televisivo, a privarsi sciaguratamente di uno così: il più bravo di tutti. Onestamente, in tutta la mia esperienza di spettatore televisivo, mai mi era capitato di guardare qualcuno in televisione con la voglia di fargli un applauso. Ieri sera l'ho rifatto (come in quel 15 dicembre 2005) proprio per Gianfranco, per l'ultimo saluto affettuoso. E in cuor mio spero tanto che, quando arriverà in paradiso, qualcuno (senza che lui lo chieda) gli dia la due, in primissimo piano, per continuare il suo show.
Tutta la puntata era stata occupata, in modo assolutamente stupefacente, da una presenza. Quella di un uomo-tv che non si vedeva da anni, relegato com’era in trasmissioni di reti minori (Odeon Tv) dopo un’uscita dalla Rai a dir poco, ancora oggi, misteriosa. E che ha dato, a chi ha avuto la fortuna di vedere la trasmissione, una lezione: di onestà, di libertà, di capacità professionali, di decoro, di dignità, di senso della televisione e di intelligenza. E, ammesso che la parola abbia ancora un senso nella Tv di oggi (compresa quella di Bonolis), di umanità. Gianfranco Funari, appunto. È stato un personaggio televisivo importante (lo dico per i più giovani), titolare di trasmissioni di discussione, anche di politica, prima a TeleMontecarlo (allora c’era), poi alla Rai. Di solito lo si definiva un populista, o anche un capopopolo. Interrogava in studio politici e similari senza infingimenti, senza inchini, senza le mellifluità e le ruffianerie oggi così comuni e indecenti. Non stava né da una parte né da un’altra. Non aveva scritto in fronte il partito di riferimento, come oggi. Era iracondo, magari esagerato nel porsi dalla parte della "gente comune", magari un po’ retorico. Usava il mezzo televisivo in modo rivoluzionario: da lui hanno imparato tutti (è stato il primo a passeggiare in studio, a fare le pause, ad andare verso la telecamera fino a farsi riprendere in primissimo piano, per sottolineare un concetto: Bonolis lo fa regolarmente, adesso). Non si sa perché, a un certo punto venne messo alla porta. Sparì. Siccome non era titolare di tessere, o almeno non le esibiva, non ci fu uno, e dico uno, che protestò. Nessuno gli propose un seggio in Europa né una presidenza regionale. Sparito. Se si pensa a quello che accade nell’Italiaccia di oggi, è incredibile. Con Bonolis, come poche volte misurato (va detto a suo onore), Funari ha parlato di tutto, si è arrabbiato, si è commosso. Ha mostrato, addirittura con una maggiore abilità di quanto non facesse una volta, come si è grandi in televisione: alternando tenerezze a ruvidità, parlando di sé e mostrandosi, e qualche volta scoprendosi, ma sempre con senso della misura; ed esagerando, anche platealmente, quando l’argomento lo richiedeva, con un dosaggio da meraviglioso padrone del mezzo. Ha parlato anche con il corpo, muovendosi, agitando le mani, giocando con l’elegante bastone che usava per camminare. È stato un eccezionale istrione, nel senso migliore del termine. A un certo punto si è avuta l’impressione, netta, che Bonolis lo guardasse ammirato: lo ha lasciato dire a volontà, ha capito (è stato bravo) che la trasmissione si giocava su di lui come un mattatore, non lo ha mai interrotto, gli ha fatto da spalla. Funari era un fiume in piena, ma guidato da un senso del pubblico e della "presenza" a se stesso che raramente è stato dato di vedere in televisione. Non si è parlato addosso, è stato ruvido e leggero, elegante e popolare. È l’unico in cui la concessione, frequente, alla parlata romanesca non è fine a se stessa, ma una scelta espressiva, addirittura raffinata. È stato strepitoso. Viene da chiedersi come abbia fatto la Rai, in tanti anni di ostruzionismo televisivo, a privarsi sciaguratamente di uno così: il più bravo di tutti. Onestamente, in tutta la mia esperienza di spettatore televisivo, mai mi era capitato di guardare qualcuno in televisione con la voglia di fargli un applauso. Ieri sera l'ho rifatto (come in quel 15 dicembre 2005) proprio per Gianfranco, per l'ultimo saluto affettuoso. E in cuor mio spero tanto che, quando arriverà in paradiso, qualcuno (senza che lui lo chieda) gli dia la due, in primissimo piano, per continuare il suo show.
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