19 luglio 1992: morte della legalità
Sei corpi carbonizzati e mutilati scagliati nel raggio di diversi metri, decine di auto distrutte ed in fiamme, un palazzo sventrato e altri due danneggiati sino ai piani piu' alti, una lunga colonna di fumo che si alzava da un cratere nell'asfalto largo tre metri proprio davanti il civico 21. Questa la scena agghiacciante che si presento' agli occhi dei primi soccorritori qualche istante dopo le cinque del pomeriggio del 19 luglio del 1992. In via Mariano D'Amelio, a Palermo, persero la vita il procuratore aggiunto di Palermo, Paolo Borsellino e cinque agenti della sua scorta, Emanuela Loi, Walter Cusina, Agostino Catalano, Vincenzo Li Muli e Claudio Traina. Il giudice Borsellino, che quel giorno (domenica) aveva pranzato da amici, poco prima delle 17 arrivo' con la scorta in via D'Amelio. Mentre si accingeva ad entrare nello stabile in cui abitava la madre esplose una Fiat Panda imbottita con 100 chili di tritolo, posteggiata davanti al portone. L'esplosione provoco' il ferimento di una ventina di persone, nessuna delle quali in modo grave, e l'inagibilita' di decine di appartamenti. Il magistrato andava spesso a far visita alla madre, in quel periodo malata, ma nessuno penso' di istituire una ''zona rimozione'' davanti il portone. Subito dopo la strage il prefetto di Palermo Mario Jovine venne trasferito e sostituito dal prefetto Giorgio Musio. La strage di via D'Amelio avvenne meno di due mesi dopo di quella di Capaci (23 maggio '92), dove Cosa Nostra aveva gia' ucciso Giovanni Falcone, la moglie Francesca Morvillo e tre agenti della scorta, Antonio Montinaro, Rocco Di Cillo e Vito Schifani. Subito dopo la strage di via d'Amelio il governo decise il varo di rigorose misure antimafia e l'invio, in Sicilia, di battaglioni dell'esercito per fronteggiare l'emergenza criminale. Altra iniziativa adottata subito dopo l'esplosione fu il trasferimento nelle carceri dell'Asinara e di Pianosa di tutti gli imputati del reato previsto dall' articolo 416 bis del codice penale. Nel lavoro, come nella vita privata, Paolo Borsellino era sempre stato se stesso. Nei giorni successivi all'attentato del 19 luglio 1992, tutti quelli che lo conoscevano parlarono di ''un uomo semplice, schietto, dotato di una grande carica umana e spirituale''. ''Fino all'ultimo era rimasto il ragazzo della Kalsa, il quartiere dove era nato e dove aveva stretto un intenso rapporto di amicizia con Giovanni Falcone, suo compagno di giochi'', racconto' il professor Giuseppe Tricoli, nella cui villa di Carini, Borsellino trascorse le ultime ore prima di morire dilaniato in via D' Amelio. Per motivi di sicurezza il giudice aveva dovuto diradare l'uso della propria casa di villeggiatura ma talvolta non resisteva alla tentazione di ritagliarsi spazi di vita privata ed eludeva, anche in compagnia di Tricoli, la sorveglianza della scorta. Gli impegni di lavoro aumentavano ma Borsellino riusciva a dedicarsi a varie altre attivita': era presidente della sezione distrettuale di ''Magistratura indipendente'', faceva parte della commissione disciplinare del comitato regionale di ciclismo, sempre piu' spesso veniva invitato nelle scuole ed alle conferenze sulla mafia. Dopo la morte di Falcone sentiva questo impegno pubblico come un dovere morale verso l'amico e collega. Per dovere di cronaca mi sembra opportuno riproporre due contributi filmati. Il primo è la puntata che La Storia siamo noi di Giovanni Minoli ha dedicato pochi giorni fa al giudice Borsellino (http://www.lastoriasiamonoi.rai.it/pop/schedaVideo.aspx?id=572); il secondo è un'inchiesta di RaiNews24 sui misteri di via D'Amelio e sulla sparizione della famosa agenda rossa di Borsellino, riproposto sul sito del fratello del giudice (http://www.19luglio1992.com/index.php?option=com_content&view=article&id=236:diario-di-un-magistrato-inchiesta-di-rainews24&catid=18:i-video&Itemid=33). Due esemplari momenti di inchiesta giornalistica, due modi per ricordare il sacrificio di Paolo Borsellino e della sua scorta.
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