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domenica 6 aprile 2008

Sabrina la rossa




Una delle donne più belle, una delle icone sexy più desiderate dagli uomini, a sette giorni dalle elezioni politiche esce allo scoperto e ribadisce, senza se e senza ma, la sua fede, quella politica (di quella religiosa e di quella sportiva già ne siamo ampiamente eruditi), in una bella intervista pubblicata oggi su l'Unità. E così Sabrina Ferilli, il sogno erotico dei ragazzi brufolosi e degli attempati signorotti, dice chiaro e tondo quello che pensa, rinnova apertamente le sue simpatie in campo politico e giornalistico (sostenitrice de l'Unità dalla notte dei tempi), spazia a 360 gradi e si merita un plauso per la sua schiettezza e genuinità, oltre che un'ovazione per la sua bellezza. Per chi l'avesse persa, vi ripropongo la sua intervista rilasciata a Toni Jop, intitolata "Sabrina Ferilli: =Meno male che c'è l'Unità. Il 13 aprile compri 2 e regali 1=". Buona lettura. «Vuoi che ti dica la verità?», insomma, non è necessario, non voglio soffrire. «Te la dico lo stesso: mi sento la stessa comunista italiana che è nata e cresciuta col Pci. Ho semplicemente continuato ad aprire il cervello e a capire che era giusto e bello arricchire la propria identità con altre radici, nessuna delle quali smentisce quelle da cui sono venuta... fino al Partito democratico che speriamo se la cavi». Ferilli Sabrina, come sta scritto sui documenti, racconta che «non sapevi neanche cos’era l’Unità quando io la vendevo porta a porta». Ed è così adorabile mentre lo dice che non mi viene nemmeno da obiettare che, se non è nata nel 23 e non è nata nel ’23, si sbaglia. Partiamo da una onesta considerazione: l’Unità è il solo giornale d’Italia che possa dire con diritto di disporre di un’epica popolare ben piantata. Questo non le garantisce oggi seicentomila copie vendute al giorno ma un legame profondo con la vita di una quantità enorme di bravi compagni e democratici, sì. Se poi, per una qualche virtuosa coicidenza di interessi con la sinistra, si sparge la voce che «dài, si torna in piazza a far diffusione», com’è accaduto pochi giorni fa, ecco che l’epica si rinnova a decenni di distanza da quelle tirature milionarie di cui Sabrina ricorda. Al cinismo «adulto» dei nostri giorni, può sembrare fastidiosamente naïf questo gancio «passionale» nei confronti di una testata che sembrava l’ultimo frammento del muro di Berlino e che invece, in barba a troppi, si è inventata una nuova vita. Ma chissà perché a questo gancio è appesa anche una come Sabrina Ferilli, una ragazza che sulla carta non dovrebbe disporre di un file di memoria tanto esteso... Chissà che ci trovi in questo giornale che alcuni hanno giudicato “assassino”, altri “terrorista”... «Lasciami fare un passo indietro. Prendi le cose di oggi riportate dai mass media. La mozzarella campana, il vino: tutti a sguazzarci come di fronte a un cataclisma universale. Purtroppo anche l’Espresso. Pare che in Italia la mozzarella di bufala sia un concentrato di diossina e che il Brunello sia avvelenato. Così, un’altra bella mazzata per il paese che già soffre e nessuno compra più il nostro alimentare di serie “a”. Tanta gente senza lavoro, drammi e tragedie. Invece: di tanti caseifici, solo un paio non rispettano i criteri e in poco vino c’è un po’ di zucchero truffaldino che pare comunque non faccia male...». Che vuol dire? Ce l’hai con la stampa? «No. Solo che mi piace l’equilibrio, ci vuole senso di responsabilità per dire le cose, guai a tacere o a minimizzare ma guai ad accendere un rogo quando si sta parlando di un cerino. Fortuna che esiste l’Unità, nel solco di questo equilibrio. Mi sembra un antidoto contro la trasformazione dei media in agenti sovversivi... È per questo che mi rivolgo volentieri non solo ai lettori e agli elettori di questo giornale invitandoli ad acquistare 2 o più copie ciascuno de l’Unità. Voglio parlare a tutti quei sinceri democratici che qualche cosa comunque devono alla storia di questo quotidiano». E così, tu da piccola... «Vendevo l’Unità porta a porta con i compagnetti della scuola. Avevo undici anni. Sembra una professione di fede e invece è semplicemente un rapporto di piacere che mi lega a questo giornale: non ho mai smesso di leggerlo - adoro Maria Novella Oppo, la amo - e da qualche anno sono abbonata. Chi mi obbliga? Nessuno e niente, puro piacere, l’ho detto...» Che bella cosa sentir parlare di “piacere” in questo accidenti di paese. Ricapitolo: ami l’Unità, il Pd, la sinistra, Roma, la Roma, la Oppo... «E anche l’Italia...» Provo a smontarti un po’: ma non ti accorgi che questo paese si è incarognito? Non vedi che sta diventando così povero da scatenare i caratteri meno eleganti delle nostre genti? Possibile che non abbia avvertito la quantità di violenza che corre sottotraccia a Roma e che si può toccare con mano ogni volta che ci giri in macchina? «Me pari un tassista romano. Lo sai, no, che tantissimi tassisti di qua stanno con la destra. Io li conosco a memoria. Sali a bordo e molti ti dicono subito: ce so du cose che nun me piacciono... E io so già che tipo è: laziale e di destra, è sempre così. Infatti, le “du cose” sono sempre la Roma e la sinistra. Uno mi fa: ma com’è che lei, bella, ricca e famosa vota a sinistra? Mi fermo e rispondo: ma lo sa che c’ha ragione? Però mi spiega com’è che, invece, lei che non è tutto questo vota per la destra? Silenzio, non sanno mai cosa rispondere. Semmai, al di là delle battute, conviene chiedersi davvero perché molta gente che si trascina a fine mese coi soldi, che sta nelle fabbriche pensa che la destra sia la risposta...» Un’idea ce l’ho: credo che la sinistra abbia perso il linguaggio della sofferenza e del bisogno. Tu? «Ricordo una battuta del film di Virzì che dice più o meno che i comunisti oggi son tutti ricchi, professionisti e attori. Bella: che cosa ci è sfuggito? Credo che la sinistra si perda in una lingua troppo concettuale. Sentivo parlare Ferrando e per capire cosa stava dicendo serviva un volume. A volte anche Bertinotti e anche alcuni rappresentanti del Partito Democratico hanno un concetto teorico-dottrinale della politica. Come si fa a stargli appresso? Questo non è un popolo di raffinati ricercatori universitari... Veltroni sa cosa fa». Son qua che cerco di convincermi che, come dici, Roma è una città dolce e cara... «Primo: di dove sono Olindo e Rosa, della Garbatella? No caro, sono delle civili pianure del nord, è gente che difende la famiglia, i suoi valori e pure credente... Mi pare che ci si spari più nelle ricche province del Nord che nelle periferie romane. Io me le ricordo queste periferie: un tempo erano ben peggio. Sono tutt’altro che un paradiso ma come mai ci si ammazza così spesso in queste belle villette magari con la piscina davanti?». Ma quanto vuoi bene a Roma? «Tanto. È una città buona con tutti. Una città dove ci stanno il governo, il parlamento, il papa, le puttane, i papponi, gli zingari, tutti più tre-quattro milioni di persone. E che deve fare ancora una città come questa che deve mettere assieme, tra l’altro, le zoccole e la politica?». A proposito di politica... «Aaah no, eh! Adesso basta, non cercare di tirarmi dentro a questo vortice che vomita sulla politica. Adesso va di moda, tutti a dire che schifo. Scena bellissima: i primi nella corsa sono molti politici che si dicono: che schifo che facciamo. Ridicoli. E stupidi noi cittadini che ci sciroppiamo la scena senza dir nulla. Altro terreno, la politica, che è stato servito male dai media: problemi, e grandi, ce n’è ma chi si è preoccupato di fare in modo che la giusta critica non si trasformasse nell’incendio del bosco intero? Un politico si compra un paio di scarpe da settecento euro: e allora? Facesse il suo mestiere in modo corretto e inappuntabile e la storia delle scarpe di lusso sparisce nel nulla, come deve sparire, sennò siamo in mano all’integralismo pauperista e addio». Un paese “con il cuore in mano”, non è così? «Mah. Sempre gli stessi. Gente che si sente soffocare se qualcuno gli dice che deve pagare le tasse, che rischia multe se evade...Un popolo antico, ma inesperto rispetto alle regole della democrazia...». Se vince Silvio, si dice, siamo sistemati per vent’anni e quelli che piangono per le tasse smetteranno di piangere... «Senti: se vince vorrà dire che lo abbiamo voluto noi. Per conto mio, io ho fatto e sto facendo la mia parte perché non avvenga. La facciano anche gli altri, bisogna avere la coscienza a posto. E se vince governa, questa è la democrazia».

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