l'autogol del cavaliere
Più si avvicina la data del 13 e 14 aprile e più il cavaliere si incupisce, diventa nervoso, digrigna i denti. Sente il fiato sul collo del suo avversario politico di riferimento, avverte che il vantaggio enorme (in termini percentuali) che aveva due mesi fa si sta via via erodendo, capisce che il terreno su cui basava la sua affabilità politica ed il relativo consenso di massa gli si sta sbriciolando sotto i piedi. Non è un bel periodo per il cavaliere, proprio no. Ieri sera è stato sconfitto (in termini di ascolti e di share) nel confronto televisivo a distanza con Walter Veltroni nelle Tribune Elettorali su RaiDue (se ne parla a TG3 Primo Piano da Maurizio Mannoni, con Massimo Franco e Massimo Giannini, http://www.raiclicktv.it/raiclickpc/secure/stream.srv?id=32034&idCnt=72477&pagina=3&path=RaiClickWeb^Home^Notizie^Archivio+^TG3+PRIMO+PIANO#3). Non riesce più a far sognare i suoi sostenitori e men che meno gli elettori ancora indecisi, che invece volgono lo sguardo e l'attenzione verso l'ex sindaco di Roma, sempre più convinto nei propri mezzi e nel programma elettorale del PD, sempre più fiducioso in un clamoroso sorpasso sul filo di lana. Come se non bastasse, ieri pomeriggio Silvio Berlusconi è andato ad impantanarsi nelle sabbie mobili della polemica con il Quirinale (http://www.unita.it/view.asp?IDcontent=74260), procurando un clamoroso autogol al Popolo della Libertà (vi segnalo anche l'ottimo pezzo di Massimo Franco, notista di spicco del Corriere della Sera, http://www.corriere.it/politica/nota/08_aprile_02/nota.shtml) degno del miglior Comunardo Niccolai del Cagliari dello scudetto del 1970. E dopo tutto questo non posso esimermi dal farvi leggere l'articolo (condivisibile dalla prima all'ultima riga, comprese le virgole) scritto dal vicedirettore de la Repubblica, Massimo Giannini, in prima pagina stamani. Il titolo è "L'ossessione del Cavaliere". Buona lettura. E' infiacchito. Sembra imbolsito. Si dice che non abbia più tanta voglia. Ma ora che si avvicina l'ordalìa del 13 aprile, sempre più spesso il Cavaliere stanco si lascia sopraffare dal vecchio Caimano che è in lui. Dai giorni ruggenti della sua discesa in campo del '94, Berlusconi ha trasformato il conflitto ideologico in uno strumento irriducibile della sua legittimazione politica, e il conflitto istituzionale in un metodo irrinunciabile della sua avventura di governo. Ora che risente vicina la possibilità di un ritorno a Palazzo Chigi, il leader del PdL non resiste al richiamo della foresta. E riapre le ostilità contro un simbolo che per gli italiani rappresenta la più preziosa delle istituzioni, ma per lui costituisce la più tormentosa delle ossessioni. Equiparare la presidenza della Repubblica alle "forche caudine" di un Capo dello Stato "che sta dall'altra parte" non è solo un'offesa nei confronti di un galantuomo come Giorgio Napolitano, che in questi due anni difficili non ha mai sconfinato dal perimetro delle funzioni istituzionali che la Costituzione gli assegna e non ha mai valicato il confine delle attribuzioni politiche che il mandato delle Camere gli ha assegnato. La sortita del Cavaliere è soprattutto un insulto nei confronti del sistema dei valori repubblicani, fondato sulla leale collaborazione tra le istituzioni, sul rispetto degli organi di garanzia, sul bilanciamento dei poteri dello Stato. Nonostante i quindici anni di militanza politica e i sei anni e mezzo di esperienza di governo, Berlusconi dimostra di non aver mai metabolizzato fino in fondo questi valori. Lui è e resta "altro". Per lui non ci sono interlocutori istituzionali o politici con i quali dialogare, ma solo nemici da sconfiggere o da imprigionare. Per lui il governo è e resta il Quartier Generale da espugnare, e il Quirinale è e resta il Palazzo d'Inverno da assediare. Ovviamente nell'attesa messianica di conquistare anche quello, e di consegnare finalmente se stesso alla Storia. la sua uscita di ieri si può spiegare solo in questa ottica distorta del gioco democratico. E a niente valgono i soliti tentativi di ridimensionare la portata dell'attacco al Colle, con la prassi collaudata delle autosmentite successive. Non bastano le parole riparatorie nei confronti di Napolitano, non basta evocare "l'ottimo rapporto", la "stima e l'affetto" ricambiati. Non basta la telefonata di scuse con il Capo dello Stato, per precisare che "lui non c'entra niente". Per quanto cordiale e contrita sia stata quella chiamata, il danno si è già prodotto. O meglio: ri-prodotto. La toppa che il Cavaliere prova a mettere in serata è peggiore del buco che ha creato nel pomeriggio. Berlusconi chiarisce che il suo discorso si riferiva al precedente settennato di Carlo Azeglio Ciampi, con il quale il suo governo ha avuto "un rapporto dialettico", e con il quale si è creato un attrito a proposito della riforma della legge elettorale, con quel premio di maggioranza regionale "che il Quirinale ha preteso". Il Cavaliere mente due volte. La prima volta: il "rapporto dialettico" con Ciampi lo ha creato lui, con le continue forzature legislative che hanno piegato l'economia ai suoi sogni personali e il diritto ai suoi bisogni processuali. Se Ciampi ha rifiutato di firmare la legge Gasparri sulle Tv o la legge Castelli sulla giustizia non dipende dal fatto che stesse "dall'altra parte", cioè che fosse un pericoloso "comunista", ma dal fatto che "dall'altra parte" ci stesse invece lui, il Cavaliere, che era e resta un avventuroso populista. La seconda volta: non è stato certo Ciampi a imporre il premio su base regionale a Palazzo Madama nella formula mostruosa declinata dal "porcellum". Il Colle, in quell'occasione, si limitò a segnalare la necessità che si rispettasse il dettato costituzionale. l'articolo 57 prescrive che il Senato della Repubblica sia "eletto a base regionale". Tutto qui. Il resto, che l'Italia sta pagando a caro prezzo, lo fecero i sedicenti "esperti" della vecchia Casa delle Libertà. quattro apprendisti stregoni riuniti in una baita di Lorenzago. Semmai, se l'ex Capo dello Stato ha avuto una colpa, è stata quella di non aver rimandato alle Camere anche quell'orribile legge Calderoli, costruita con l'unico obiettivo (purtroppo raggiunto) di rendere il Paese ingovernabile. Altro che "dall'altra parte": Berlusconi dovrebbe ringraziare Ciampi, invece di insolentirlo. Si tratta ora di vedere quali saranno gli effetti di questo ennesimo strappo istituzionale, nei pochi giorni che restano prima delle elezioni. Anche se animato dalla giusta intenzione di ristabilire un principio, ma anche di svelenire la polemica, è difficile che il comunicato diffuso dal Quirinale possa chiudere la partita. Quel testo è al tempo stesso inquietante e confortante. Inquieta il fatto che la più alta magistratura istituzionale del Paese debba essere costretta a ribadire, in piena campagna elettorale, un'evidenza oggettiva di cui nessun leader politico e nessun cittadino comune dovrebbe mai dubitare: la presidenza della Repubblica è per definizione sostanziale e costituzionale un organo di garanzia, che interloquisce ma non interferisce con gli altri poteri dello Stato. Conforta il fatto che in questa nostra "Repubblica transitoria" in cui tutto sembra rapidamente deperibile e variamente manipolabile, dai fatti della cronaca ai giudizi della storia, il Quirinale rappresenta l'unico presidio autenticamente no-partisan del sistema democratico. L'unico "luogo" fisico e simbolico della politica italiana che non si lascia snaturare dalle logiche iper-partisan e che assicura la necessaria unità dell'azione e la doverosa continuità della missione, indipendentemente da chi sia l'inquilino che lo abita. Non è una cosa da poco, visti i possibili scenari del dopo 13 aprile. E visto soprattutto l'incontenibile istinto del Cavaliere ad usare l'Italia come una semplice appendice di Forza Italia.
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