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domenica 20 aprile 2008

per cortesia, non consegnate anche Roma alla destra!




E' trascorsa appena una domenica dalla sconfitta elettorale che brucia ancora sulla pelle (e sul cuore), una settimana occupata dalle solite gag di cattivo gusto del cavaliere, dai banchetti col suo amico russo, dalle inopportune uscite mediatiche di Montezemolo. Insomma una settimana di emme, e adesso ci ritroviamo ad una settimana dal voto per il ballottaggio tra Francesco Rutelli e Gianni Alemanno per la poltrona di sindaco di Roma. Non voglio fare un altro appello come quello antiberlusconiano di dieci giorni fa (potrebbe portare sfiga), anche se dal titolo di questo post si deduce abbastanza chiaramente come la pensa chi scrive. Voglio però farvi leggere un articolo scritto da Vittorio Emiliani (che essendo stato direttore de Il Messaggero un pochino Roma la conosce) pubblicato da l'Unità e che giudico quanto mai coerente ed illuminante. Buona lettura. Il vento che è soffiato da destra sul Paese alle elezioni politiche ha attribuito al duello Rutelli-Alemanno per la guida del Campidoglio un rilievo ancor più nazionale di quanto avveniva per il rinnovo del sindaco del primo Comune d’Italia. Nella drammatizzazione, voluta da destra, ci si dimentica che, quando Francesco Rutelli, allora il “ragazzo col motorino”, affrontò nel 1993 Gianfranco Fini per la stessa carica, ebbe al primo turno soltanto 3,8 punti percentuali in più di lui (39,6 contro 35,8 per cento) prevalendo poi col 53,1 contro il 46,9 per cento del rivale. Oggi, è vero, c’è un tasso di astensionismo maggiore, c’è una fascia più ampia di indecisi o di “incazzati”. E ci sono anche quelli che - secondo una tagliente espressione di Michele Serra - sono rimasti a casa il 13-14 aprile “a misurarsi la puzza sotto il naso”. Questo ballottaggio va al cuore del confronto politico fra due schieramenti, uno progressista, l’altro conservatore-populista e che quindi, in questi ultimi giorni, esso esige un impegno quotidiano diretto a favore di Francesco Rutelli da parte di chi vuole andare avanti con una capitale sempre più europea, sempre più attrezzata nei servizi e nei trasporti, sempre più dotata culturalmente e socialmente, sempre meglio salvaguardata nel cuore antico e nell’Agro. Dal 1993 è cominciato infatti, con Rutelli sindaco, un nuovo ciclo, poi continuato in modo altamente positivo da Walter Veltroni, che ha da una parte conservato egregiamente Roma e le sue stratificate, straordinarie bellezze e dall’altra dato impulso all’economia, ai servizi, alle strutture culturali della città. «Una città in accelerazione», l’ha definita il Censis, con una ricchezza annualmente prodotta, circa 95 miliardi di euro, che supera quella dell’intera Ungheria o Repubblica Ceca. Con un Pil che sale nettamente di più della media europea, per non parlare di quella italiana. Altro che Roma “ladrona”. Con una occupazione cresciuta nel periodo 2001-2006 del 13,7 per cento e un tasso di attività femminile giunto al 45 per cento, superiore di quasi 7 punti alla media nazionale. Altro che Roma pigra e sfaticata. Certo, una città che deve migliorare quantità e qualità dei servizi metropolitani. Rutelli, assieme a Walter Tocci e ad altri, inaugurò quella “cura del ferro” che Comune e Provincia possono e devono sviluppare sempre meglio con Trenitalia e con altre aziende. Risolto il nodo annoso degli abusivi di Tor di Quinto, occorre chiudere finalmente l’anello ferroviario, il nostro ring, e da lì far ripartire per tutto il territorio regionale l’integrazione su rotaia. Che un caro-carburante di lunga durata renderà sempre più necessario in tutto il Lazio, nell’area vasta che va dai Castelli (riempiti assurdamente di auto) alla pianura pontina (dove l’Alta Velocità libererà i binari ordinari per il traffico locale e regionale), allo splendido territorio dei laghi verso Viterbo e la Tuscia, alla troppo trascurata Sabina e all’Umbria. Credo che Francesco Rutelli possa e debba rivendicare in questi giorni meriti indubitabili, fatti concreti in tale materia, e non le vaghe promesse elettoralistiche di Gianni Alemanno. Sviluppo della rete ferroviaria, in superficie e in sotterranea (con tutti i problemi archeologici che Roma pone, e però compromessi dignitosi si possono trovare) vuol dire impulso al policentrismo romano. Già in atto, sempre secondo il Censis. Troppo di questa capitale continua a ruotare, in modo congestionato, attorno a piazza Venezia. Rutelli, negli otto anni da sindaco, ha il merito di aver attivato uno sviluppo virtuoso dei grandi quartieri periferici nati nel modo più “selvaggio” quando le amministrazioni dc avevano il sostegno dei missini, padri riconoscibili di Alemanno. Le borgate hanno segnato a fondo la storia di Roma nel ‘900, una delle prime, Primavalle, la creò il fascismo per deportarvi dichiaratamente i sovversivi e comunque i popolani meno “fedeli” dei quartieri storici demoliti per tracciare Via dell’Impero e Via della Conciliazione. Il risanamento delle ex borgate è stato realizzato con grandi costi sociali e con sforzi enormi dalle giunte di sinistra Argan-Benzoni, Petroselli-Severi, Vetere-Severi, dando loro una prima forma urbana. Rutelli e Veltroni hanno avuto il merito di rafforzare l’identità delle periferie, borgatare e non, creandovi nuovi servizi socio-culturali importanti, per esempio il teatro a Tor Bella Monaca o, più recentemente, al Quarticciolo e, ancor prima, una rete di decine di biblioteche che sono poi veri e propri centri culturali. Sappiamo che nelle ex borgate c’è stato anni fa, con grande, amara sorpresa, un voto di massa non più a sinistra ma per una certa Dc, quella sbardelliana, ed ora c’è una maggior difficoltà per il consenso di centrosinistra. I Municipi romani hanno visto, il 13-14 aprile scorso, una generale riaffermazione del centrosinistra e della sinistra, con punti più deboli o meno forti a Cassia-Prima Porta (la sola peraltro dove lo schieramento progressista risulti sin qui minoritario, con un 39,7 per cento), a Boccea-Montespaccato, a Balduina-Primavalle (curiosa commistione fra dormitorio medioalto borghese ed ex borgata), a Torre Angela-Borghesiana e anche ad EUR-Spinaceto e a Trieste-Salario tradizionalmente un po’ più a destra. Tutte circoscrizioni dove nelle elezioni per i Municipi il centrosinistra si attesta comunque sul 45-47 per cento, mentre a Ostia (che va ormai considerata una città a tutti gli effetti e come tale trattata), a Centocelle-Prenestino e a Montesacro-Talenti è di poco sotto il 50. Credo che qui si debba insistere su di una politica che punti ad irrobustire l’armatura di servizi sportivi, di strutture sociali e culturali, di teatri, di biblioteche, e anche, perché no, di musei: perché non potenziare i "musei di scavo" che darebbero una storia e una matrice riconoscibile anche al popolo di immigrati e quindi di sradicati che ha fatto vivere quei confusi e poco umani, all’origine, agglomerati urbani? Il problema degli immigrati è grande in tutta l’area romana. Nel Comune si contano 250.640 regolari, con la Provincia si sale a circa 370.000. Roma, è vero, ha nel Dna storico il fatto d’essere città cosmopolita. Dall’antichità. Non a caso vi è insediata, con tratti tradizionali suoi propri, ed è bellissimo che sia così, la comunità ebraica più antica esistente, in modo ininterrotto, fuori dalla Palestina. Comunità che non vuole giustamente dimenticare le grandi sofferenze patite sotto lo Stato pontificio e, soprattutto, il terribile prezzo pagato all’Olocausto, ai lager nazi-fascisti. E noi con loro. Loro che sono i romani di più lontana discendenza, i più veri in fondo. Sacrosanto, quindi, il monito del neo-presidente della Comunità ebraica romana, Riccardo Pacifici contro l’ombra del fascismo che si rifà minacciosa con Storace il quale per il ballottaggio appoggia subito, guarda caso, Gianni Alemanno, cresciuti entrambi sotto la fiamma. Ma anche altre comunità hanno qui insediamenti remoti, legati alla storia della Chiesa, fra San Stanislao dei Polacchi e San Salvatore alle Coppelle, oppure comunità più recenti e però di massa, cattoliche come quella filippina, e musulmane, come quelle maghrebine ed egiziane, con la più grande e bella Moschea d’Europa. Sia che si tratti di integrazione, sia che si tratti di coesistenza, sono processi lunghi, tormentati e difficili. La costruzione di una società multietnica non è una passeggiata, come forse una certa sinistra radicale aveva immaginato. Sta allo Stato creare le condizioni affinché quei processi, così complessi, avvengano con meno disagi, meno sofferenze, meno traumi per tutti. Altrimenti la criminalità recluta sempre più facilmente fra gli immigrati più deboli la propria manovalanza. Rutelli sa bene - come lo sa Nicola Zingaretti per la Provincia - che, col ritorno di Berlusconi al governo, le organizzazioni assistenziali, per lo più cattoliche, come la Caritas, così attive a Roma, pure per i rifugiati politici (se ne occupa meritoriamente il Centro Astalli dei gesuiti), avranno minori finanziamenti dallo Stato. Sa bene che toccherà al Comune, e ad altri Enti locali, gravarsi di un compito di supplenza più pesante. Ma se vogliamo più sicurezza, dobbiamo creare le condizioni affinché essa ci sia, dialogare con le comunità straniere, anche con le più chiuse (come quella cinese, peraltro numerosa, circa 20.000 persone, e concentrata all’Esquilino), chiedere loro il severo rispetto delle leggi, secondo il giusto slogan «massima integrazione-massima legalità». Nell’ultimo anno la comunità straniera di Roma, giunta, coi soli regolarizzati quasi al 10 per cento della popolazione - in essa occupano i primi posti Romeni, Polacchi, Ucraini e Albanesi - è cresciuta di altre 14-15.000 unità. Molte sono donne (colf, badanti, ecc.), numerosi ormai anche i titolari di imprese e impresine (sui 12.000), per la maggioranza celibi e nubili, una linfa giovane. Da non sprecare. Se vogliamo che Roma resti - checché se ne dica - la meno insicura, dati alla mano, delle metropoli occidentali. La cultura è il grande “motore” delle città moderne e lo è, sempre più, anche a Roma. Credo che Francesco Rutelli possa rivendicare a sé e alla sua giunta di aver portato fin verso la conclusione la più grande operazione culturale dell’ultimo mezzo secolo: il nuovo Auditorium di Renzo Piano, il Parco della Musica, che, con oltre un milione di spettatori paganti è diventata oggi la più grande macchina culturale del nostro continente. Grazie alla riuscita collaborazione fra Musica per Roma (presidenti Bettini e Borgna) e l’Accademia Nazionale di Santa Cecilia (presidenti Cagli, Berio e di nuovo Cagli). Contemporaneamente la rete dei Musei comunali, col ritorno in campo degli splendidi Capitolini, sta registrando crescenti successi di pubblico. Mentre teatri di prosa e di musica vendono a Roma oltre il 17 per cento dei biglietti di tutta Italia, pur essendo la popolazione dell’intero Lazio il 6-7 per cento di quella del Paese. E si può fare anche di più e di meglio. Questa culturale è la risposta migliore alle denigrazioni del vergognoso dossier imbastito da Berlusconi contro Roma. Perché “contro Roma” sarà, di necessità, il governo PdL-Lega Nord nel quale quest’ultima, “celtica”, nemica della capitale dalla propria nascita, avrà un ruolo decisivo. Un Alemanno alla guida di Roma (a parte che il binomio evoca tempi bui già a nominarlo) farebbe scadere la capitale d’Italia a quel ruolo di “succursale” di Palazzo Chigi che essa non ha più da molto tempo. Almeno da quel 1976 in cui il Campidoglio venne pacificamente riconquistato dalla sinistra. “Succursale” e ostaggio di un governo assai più nordista - perché più influenzato da quanti gridano “Roma ladrona!” - degli stessi esecutivi presieduti negli anni scorsi da Silvio Berlusconi. Che non lo scordino i romani al momento del voto per il ballottaggio, per Francesco Rutelli e per Nicola Zingaretti.

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