Gianfranco Fini, da delfino a portaombrello
Tutto mi aspettavo da Gianfranco Fini, da eroe dei pannolini a presidente della Camera in pectore, meno che diventasse una sorta di portaombrello personale del cavaliere. Manca poco che ne diventi anche il porta abiti personale, l'appendi cappotto esclusivo, in una parola il tappetino. Vederlo alla manifestazione a Roma per sostenere la candidatura a sindaco di Gianni Alemanno, sorridente ed ossequioso, con l'impermeabile color crema un pò simil maniaco del parco, con la cravatta rosa e l'ombrello in mano a riparare la pelata restaurata e impreziosita di sua emittenza (lasciando scoperto il tricotico Alemanno), beh, vi confesso che un certo effetto me lo ha procurato. Osservavo la fotografia (pubblicata stamani a pagina 12 del Corriere della Sera) con un misto di amara inquietudine e di rassegnata delusione. L'inquietudine era dettata dalla incertezza su quale futuro attende l'ex ministro degli Esteri ed ex vicepremier: se cioè sarà davvero, come si vocifera, il nuovo presidente della Camera o se avrà un fulgido avvenire da stampella umana del caimano. La delusione era invece conseguente al ricordo che avevo di Fini ai tempi degli anni caldi a cavallo tra il 1977 e il 1979, quando a Roma esplose la tragica realtà degli opposti estremismi, delle pistolettate tra rossi e neri, degli assalti fascisti e delle risposte con il morto degli autonomi. Lui era il segretario del Fronte della Gioventù, era un astro nascente nel panorama politico giovanile italiano. Era il delfino di Giorgio Almirante, una mente grigia per la destra: insomma, non era certo l'ultima ruota del carro. E' vero, i suoi compagni (per meglio dire, i camerati) di partito lo chiamavano er caghetta per via della sua rinomata ritrosia (al confine con la pavidità) nel farsi trovare in prima fila a menare le mani o a manganellare (al contrario del suo amico Alemanno o di Storace o di Buontempo), ma suvvia, ritrovarselo oggi, 30 anni dopo in prima fila sì, ma a reggere l'ombrello a Berlusconi mi sembra proprio un suicidio d'immagine, un crollo spaventoso nell'attendibilità e nella virulenza da ruolo di leader, che nessuno oggi potrebbe mai riconoscergli. Una carriera al contrario, più che da delfino da salmone. Risalendo controcorrente. La speranza (per lui e per i suoi amici) è che non finisca stoccafisso, magari con patate...
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