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mercoledì 19 marzo 2008

la ricetta berlusconiana del "sole in tasca"...




Ogni volta che mi capita di ascoltare dichiarazioni televisive o di leggere interviste rilasciate a giornali e settimanali da parte di Silvio Berlusconi, rimango per qualche minuto in una fase di leggera trance, di momentaneo torpore cerebrale, non facilmente spiegabile con qualche termine magari di natura medica o addirittura psicologica. Non so perchè, ma il soffermarmi a rileggere o magari a riascoltare (in questo senso Internet mi dà una grossa mano) le disquisizioni berlusconiane mi lasciano a volte interdetto e dubbioso su una considerazione di base: ma questo qui ci è o ci fa? Ma davvero crede in quello che dice? E l'enfasi e la convinzione (apparente) che ci mette nei suoi discorsi sono figlie delle sue certezze o sono solo sabbia negli occhi di chi guarda (e di chi ascolta)? Anche oggi, leggendo una caricaturale intervista rilasciata a Paolo Scarano del settimanale Gente, ho avuto questa strana sensazione: che il cavaliere, a volte, metta in moto l'apparato faringeo e polmonare per dar fiato, senza nel contempo sincronizzare l'apparato cerebrale. Voglio pubblicare un estratto di questa intervista per dar modo anche ai lettori di questo blog di rendersi conto se la mia è solo una sensazione o se trova conforto in qualcun altro la stessa consequenziale meraviglia. Buona lettura. E fatemi eventualmente sapere la vostra idea in merito.


Come si svolgono le sue giornate in attesa del voto del 13 e 14 aprile? A che ora si sveglia e quando va a dormire? Segue una dieta particolare? «Mi alzo alle 7.15. Vado a nanna alle 2.30, dopo aver letto i giornali, che mi arrivano intorno all’una e mezzo. La media giornaliera degli appuntamenti è di 15-20, di norma 20 minuti per ciascuno. Le telefonate, tra un appuntamento e l’altro, sono una cinquantina. Pranzo e cena sono invariabilmente riunioni di lavoro. Nessuna vera dieta, se non l’abitudine a un menu semplice e poco calorico. Si cambia, naturalmente, se sono chiamato a interventi pubblici o televisivi. Dopo la riunione per la cena, appena possibile, lavoro alla scrivania per studiare, stilare dichiarazioni, correggere interviste, preparare gli interventi del giorno dopo. Così per sei giorni alla settimana. Come vede sono quasi in odore di santità...».
Con chi si consiglia sulle scelte politiche? Su quali persone punta per le decisioni più importanti? «Ne discuto con tutti i miei collaboratori, con gli alleati, con gli esperti delle varie materie e alla fine decido io. Ma ho sempre al mio fianco l’onesto e trasparente Sandro Bondi, il geniale Giulio Tremonti e quell’inviato dalla Provvidenza che è Gianni Letta».
Si consulta anche in famiglia, con moglie e figli? «Questa vita e questo lavoro mi fanno stare troppo spesso lontano da loro. Quando stiamo insieme cerco di non far pesare le mie preoccupazioni e i miei problemi. Cerco di seguire l’esempio di mio padre, che anche nei momenti difficili del suo lavoro lasciava fuori dalla porta le negatività e con il suo arrivo riempiva la casa di serenità e di sole. Proprio pensando a lui ho insegnato ai miei collaboratori ad avere sempre “il sole in tasca” e a regalarlo a tutti, a casa, in ufficio, nel lavoro».
Teme Walter Veltroni e la sua abilità dialettica? «Veltroni è un ottimo comunicatore. Ma ha contro di sé tutto il passato della sinistra e tutto il presente del governo Prodi. Cerca di mettere in scena un gioco di prestigio, quello di farli dimenticare entrambi. Ma gli italiani non sono così sprovveduti da farsi convincere da una pur ben presentata fiction lontana dalla realtà. Mi sembra poi che abbia commesso l’imperdonabile errore di assumere impegni che non ha mantenuto. In primo luogo aveva detto: andremo da soli. E invece ha incamerato i radicali e tutti si domandano come faranno dei “mangiapreti” ad andare d’accordo con i cattolici integralisti quali i cosiddetti teodem. Poi si è addirittura apparentato con il campione delle manette, Di Pietro. Quindi non da solo ma, quel che è peggio, male accompagnato. Secondo. Aveva promesso: romperò con la sinistra estrema, quella che ancora vuole chiamarsi, con orgoglio, comunista. E invece si è alleato con loro in tutte le elezioni amministrative, dimostrando così di non voler rompere con il suo passato. Terzo. Aveva promesso: sarà un partito nuovo con una nuova classe dirigente. E invece quando ha presentato le liste si è visto che portano in posizione privilegiata tutti i ministri, i viceministri, i sottosegretari del governo Prodi, tutta la vecchia nomenclatura del Partito comunista. Tre promesse, tre finte, tre impegni mancati, tre delusioni. Mi sembra che si possa dire che i suoi giochi di artificio sono finiti».
Può spiegare la sua ricetta per rilanciare l’economia del Paese? «La ricetta è semplice, ed è quella liberale che tutte le democrazie occidentali hanno messo in pratica per rilanciarsi negli ultimi vent’anni. Meno tasse sulla famiglia, sul lavoro, sulle imprese uguale più consumi, più produzione, più posti di lavoro, uguale più entrate nelle casse dello Stato da utilizzare per aiutare chi ha bisogno, per realizzare le infrastrutture, per diminuire il debito pubblico. È l’esatto contrario del “tassa e spendi, spendi e tassa” della sinistra e del governo Prodi. Quanto alle risorse necessarie per attuare gli sgravi d’imposta, andranno trovate con la lotta all’evasione e all’elusione fiscale, come iniziammo a fare con il nostro precedente governo. Anche qui si calcola che siano circa sei i punti di prodotto lordo che non entrano nelle casse dell’Erario, quasi 90 miliardi di euro. Infine per ridurre, come ci chiede l’Unione Europea, il nostro debito pubblico, che ci costa moltissimo ogni anno in interessi passivi, sarà indispensabile mettere sul mercato una parte consistente del patrimonio di beni immobili, a partire da quelli che sono in tutto o in parte inutilizzati. Per abbassare le tasse è chiaro che si deve anche diminuire il costo dello Stato, della pubblica amministrazione, che costa a ogni italiano il 50 per cento in più di quello che costa, per esempio, lo Stato tedesco a ogni cittadino. C’è quindi da fare un grande e difficile lavoro di riorganizzazione, di ammodernamento e di digitalizzazione della pubblica amministrazione per arrivare nel tempo a un risparmio di 5-6 punti di Pil, cioè da 75 a 90 miliardi di euro».
Si parla di «liste pulite», senza inquisiti. Che cosa ne pensa? «Mi limito a osservare che con questo criterio, Enzo Tortora non sarebbe stato candidabile. Adottando questo principio, si lascerebbe alle Procure (alcune delle quali, come si sa, sono molto politicizzate) di decidere chi può essere candidato e chi no. Se invece si crede, come io credo, nella cultura liberale, nello Stato di diritto e delle garanzie, si deve poi essere coerenti».
È vero che sarà l’ultima volta in cui si presenta davanti agli elettori? Che cosa farà in futuro?«A oggi l’unica cosa certa è che dovrò impegnarmi altri cinque anni per realizzare l’obiettivo di tutti gli italiani che amano la libertà e che vogliono restare liberi: far rialzare l’Italia salvaguardando gli italiani dall’oppressione fiscale, dall’oppressione burocratica, dall’oppressione giudiziaria». Ecco, queste ultime due considerazioni (su Tortora e sui cinque anni che dovremo ancora sorbircelo) mi hanno confermato le sensazioni di cui vi dicevo all'inizio. Speravo di sbagliarmi, invece...

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