la tenda di Gheddafi e quella dei terremotati
Lo so, è un paragone che non regge: mettere a confronto o, peggio ancora, dover scegliere tra una mega tenda come quella che ha ospitato il dittatore libico a Roma, a Villa Pamphili, e quella molto meno ospitale di un terremotato d'Abruzzo è quasi imbarazzante. Figuriamoci per un presidente del Consiglio. E voi volete che quest'ultimo non sentisse il bisogno l'altro ieri sera, verso le ore 23, di andare a fare visita al suo amico Colonnello per rassicurarsi sulle sue condizioni fisiche (la digestione delle tagliatelle ingurgitate dal Bolognese a piazza del Popolo avevano per caso dato dei problemi?) e per verificare se la preghiera del venerdì, così sacra per gli islamici, era stata snocciolata tutta? Certo che sì! E il Pifferaio di Arcore ha potuto tirare un sospiro di sollievo assicurandosi di tutto ciò. E il rais libico è potuto tranquillamente ripartire il giorno dopo da Ciampino alla volta di Tripoli, con la panza piena e con la scorta delle sue amazzoni che avevano ancora attaccato sul di dietro della loro divisa lo sguardo testosteronico del Pifferaio infoiato, invidioso di doversi sentire spalleggiato da omoni della security piuttosto che da attraenti verginelle devote e attraenti. E intanto nelle tende dei terremotati la vita (se così la si può chiamare) continua. Scemata l'attenzione e digerite le visite del premier, le popolazioni colpite dall'emergenza fanno i conti con i silenzi e le incongruenze del Decreto Abruzzo, che la prossima settimana approda alla Camera per il via libera definitivo. Millecinquecento alloggi pronti e disponibili a L'Aquila e provincia. Offerti a prezzo politico per accogliere i terremotati. Erano i giorni immediatamente successivi alla grande scossa del 6 aprile e l'associazione dei costruttori edili abruzzese metteva sul piatto dell'emergenza la sua disponibilità: quelle case appena terminate potevano servire a ridurre il danno, offrendo un tetto, almeno provvisorio, ai 60 mila sfollati. Forse l'ANCE s'era fatto prendere la mano dall'afflato solidale che attraversava in quei giorni l'Italia (con donazioni, concerti, offerte e quant'altro). O forse aveva fatto male i conti. Fatto sta che quei 1.500 alloggi, che teoricamente avrebbero potuto ospitare dalle 3.000 alle 5.000 persone, sono progressivamente diminuiti di numero giorno dopo giorno, fino a sparire nel nulla. Contemporanemente, mentre si andava definendo la mappa dei danni e delle inagibilità (circa il 40% delle abitazioni private), lievitava il prezzo per gli affitti delle case rimaste intatte. Scemata l'attenzione, digerita l'emergenza, diradatesi le visite del presidente del Consiglio a L'Aquila, il campo è stato occupato interamente dalle tendopoli della protezione civile, dall'esodo verso gli alberghi della costa adriatica o, nel migliore dei casi, dal rifugiarsi presso qualche parente con una stanza in più. E il terremoto è rientrato nella normalità di un Paese in cui l'edilizia è uno dei più grandi business. Anche se a volte costruito su fragili fondamenta, come l'Abruzzo dimostra e l'ANCE ben sa, in attesa che la magistratura scopra i responsabili di ciò che è successo alla Casa degli studenti e dintorni. Ma è una ben strana normalità. Lo si nota nel deserto e immobile centro storico dell'Aquila, nella vita difficile delle tende e degli alberghi, nella frantumazione del tessuto economico e nel procedere a singhiozzo della pubblica amministrazione. Ma lo si legge anche nei passaggi istituzionali, a partire dal cosiddetto Decreto Abruzzo che, dopo il varo del Senato, la prossima settimana passerà alla Camera per il via libera definitivo. Anomali e inediti sono i criteri di gestione, gli obiettivi e le procedure seguite dal Pifferaio e dalle sue truppe che hanno declinato in chiave emergenziale le tre questioni di fondo: il quando (i tempi della ricostruzione), il quanto (i fondi messi a disposizione), il come (la filosofia e le modalità del lungo viaggio verso la normalità). Sapendo che un terremoto, come un crack economico, ridefinisce tutto e mai si torna allo stato quo ante. Nella migliore delle ipotesi potrebbe andare a finire come è successo per il dopo-terremoto in Umbria (un sogno per molti abruzzesi). Nella peggiore come l'Irpinia o il Belice (un incubo per tutti). L'alternativa ci sarebbe: trasferire tutti nella megatenda del Colonnello...
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