il Pifferaio afghano
Non vorrei etichettare il presidente del Consiglio (avendolo già fatto in passato) ma ho la netta impressione che il suo animo guerrafondaio stia venendo alla luce. Non so se per fare bella figura al cospetto del presidente americano abbronzato o per ribadire la sua accresciuta popolarità internazionale (dice lui...), fatto sta che il nostro caro Pifferaio di Arcore ha voluto regalare in terra di Afghanistan un consistente aumento del contingente italiano impegnato non certo nella raccolta dei papaveri. L’Italia non è certo in guerra, ma sarebbe ipocrita negare che almeno alcune centinaia di nostri soldati in Afghanistan sono al fronte e coinvolti oramai con una certa continuità in combattimenti contro gli insorti. Il bollettino dei feriti italiani (non delle vittime, per fortuna) porta saltuariamente sotto i riflettori della cronaca le vicende del Paese asiatico in cui siamo impegnati, ma anche nei periodi nei quali l’informazione è ridotta la decisiva partita per il futuro di Kabul si continua a giocare sul piano militare e su quello politico. Mentre dalla regione occidentale dov’è dislocato il contingente italiano arrivava la notizia dei tre paracadutisti della Folgore colpiti dai ribelli, a Bruxelles il ministro della Difesa afghano sollecitava i membri europei della Nato a farsi maggiormente carico dello sforzo bellico contro le milizie dei fondamentalisti islamici che cercano di prendere il controllo del territorio e, come obiettivo ultimo, di rovesciare il governo filo-occidentale di Karzai. Tanto per non farci mancare nulla il nostro ben conosciuto pacifista e figlio dei fiori, il ministro della Difesa Ignazio La Russa, ha ricordato che l’escalation di scontri non cesserà almeno fino ad agosto, quando si svolgeranno le elezioni presidenziali. Novantamila soldati americani e di nazioni alleate sono schierati al fianco dei 160mila militari locali; tuttavia, a quasi otto anni dall’invasione del Paese per rovesciare il regime dei talebani, la stabilizzazione, per non dire la pacificazione, sembra ancora lontanissima. Inutile recriminare sul tempo perso, sulla sottovalutazione Usa di questo fronte a favore di quello iracheno, sulla difficoltà quasi insormontabile di far convivere etnie e gruppi da secoli in lotta, nonché di introdurre regole e stili di vita per noi consueti. Né sono tutti uomini di Al-Qaeda coloro che distruggono le scuole femminili e contrastano l’influenza di Karzai sui loro territori, a vantaggio dei traffici di droga. Tuttavia, se prevalessero, creerebbero comunque terreno fertile per i santuari del terrorismo internazionale. È questa la posta in gioco, in un domino la cui altra tessera chiave è costituita dal vicino Pakistan, la cui frontiera con l’Afghanistan risulta tanto porosa quanto un crocevia di radicalismi pronti a sostenersi vicendevolmente. L’Amministrazione Obama ha da tempo dichiarato che questa sfida si deve assolutamente vincere. Non è un caso che il nuovo comandante delle truppe statunitensi abbia ottenuto maggiori poteri decisionali sul campo per compiere un salto di qualità nelle operazioni. E non è un caso che il Pifferaio di Arcore, presumo anche per recuperare un pò di posizioni perse nella considerazione generale internazionale, abbia dato il suo benestare a rimpinguare il numero dei nostri soldati in terra afghana facendo contento anche il presidente Obama. Quella che resta, alla fine, è che la missione Nato voluta dal potere a stelle e strisce ha compiuto innegabili errori di approccio e sta pagando pure l’uccisione di civili che ha troppo spesso accompagnato i raid anti-talebani, creando diffidenza, se non aperta ostilità, verso la presenza di truppe straniere. Il sostegno della popolazione si può conquistare con aiuti e opere pubbliche in un Paese povero e costantemente riportato al punto di partenza dello sviluppo dalle guerre che lo hanno devastato. Non sarà comunque un’impresa facile o rapida. Di fronte alle pressioni di Washington, l’Italia e l'Europa chinano la testa e dicono sempre di sì nell’impegno su uno scacchiere insanguinato e terribilmente appesantito da relativi costi (anche umani, va purtroppo aggiunto) che ne precludono un ritorno alla normalità acclarata la netta intenzione di seguire l’America nel tentativo (non necessariamente destinato al successo) di evitare che l’Afghanistan ripiombi nel caos. E tutto ciò comporta nuovi invii di forze e accresciuti rischi. D’altra parte, rimanere in mezzo al guado, in uno stillicidio di attentati, in un alternarsi di avanzate e di ripiegamenti, non gioverà né agli abitanti, cui generosamente stiamo cercando di portare sostegno, né all’obiettivo geostrategico più ampio. Di Afghanistan sentiremo ancora parlare. Sarebbe quindi meglio affrontare la questione in modo più esplicito e ponderato. La politica, in particolare, non ha soltanto il compito di esprimere solidarietà alle Forze armate. Deve discutere e decidere. Certo, non è detto che lo debba sempre fare in prima persona il Pifferaio di Arcore. Ci sarà sicuramente qualcuno che potrebbe farlo meglio...
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