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martedì 16 giugno 2009

il Pifferaio afghano


Non vorrei etichettare il presidente del Consiglio (avendolo già fatto in passato) ma ho la netta impressione che il suo animo guerrafondaio stia venendo alla luce. Non so se per fare bella figura al cospetto del presidente americano abbronzato o per ribadire la sua accresciuta popolarità internazionale (dice lui...), fatto sta che il nostro caro Pifferaio di Arcore ha voluto regalare in terra di Afghanistan un consistente aumento del contingente italiano impegnato non certo nella raccolta dei papaveri. L’Italia non è certo in guerra, ma sa­rebbe ipocrita negare che almeno alcune centinaia di nostri soldati in Af­ghanistan sono al fronte e coinvolti or­amai con una certa continuità in combat­timenti contro gli insorti. Il bollettino dei feriti italiani (non delle vittime, per for­tuna) porta saltuariamente sotto i riflettori della cronaca le vicende del Paese asiati­co in cui siamo impegnati, ma anche nei periodi nei quali l’informazione è ridotta la decisiva partita per il futuro di Kabul si continua a giocare sul piano militare e su quello politico. Mentre dalla regione occidentale dov’è dislocato il contingente italiano arrivava la notizia dei tre paracadutisti della Folgore colpiti dai ribelli, a Bruxelles il ministro della Difesa afghano sollecitava i membri europei della Nato a farsi maggiormente carico dello sforzo bellico contro le mili­zie dei fondamentalisti islamici che cerca­no di prendere il controllo del territorio e, come obiettivo ultimo, di rovesciare il go­verno filo-occidentale di Karzai. Tanto per non farci mancare nulla il nostro ben conosciuto pacifista e figlio dei fiori, il ministro della Difesa Ignazio La Russa, ha ricordato che l’escalation di scon­tri non cesserà almeno fino ad agosto, quando si svolgeranno le elezioni presi­denziali. Novantamila soldati americani e di na­zioni alleate sono schierati al fianco dei 160mila militari locali; tuttavia, a quasi ot­to anni dall’invasione del Paese per rove­sciare il regime dei talebani, la stabilizza­zione, per non dire la pacificazione, sem­bra ancora lontanissima. Inutile recrimi­nare sul tempo perso, sulla sottovaluta­zione Usa di questo fronte a favore di quel­lo iracheno, sulla difficoltà quasi insor­montabile di far convivere etnie e gruppi da secoli in lotta, nonché di introdurre re­gole e stili di vita per noi consueti. Né so­no tutti uomini di Al-Qaeda coloro che distruggono le scuole femminili e contrastano l’influenza di Karzai sui loro territori, a van­taggio dei traffici di droga. Tuttavia, se pre­valessero, creerebbero comunque terre­no fertile per i santuari del terrorismo in­ternazionale. È questa la posta in gioco, in un domino la cui altra tessera chiave è costituita dal vicino Pakistan, la cui frontiera con l’Af­ghanistan risulta tanto porosa quanto un crocevia di radicalismi pronti a sostener­si vicendevolmente. L’Amministrazione Obama ha da tempo dichiarato che que­sta sfida si deve assolutamente vincere. Non è un caso che il nuovo comandante delle truppe statuni­tensi abbia ottenuto maggiori poteri de­cisionali sul campo per compiere un sal­to di qualità nelle operazioni. E non è un caso che il Pifferaio di Arcore, presumo anche per recuperare un pò di posizioni perse nella considerazione generale internazionale, abbia dato il suo benestare a rimpinguare il numero dei nostri soldati in terra afghana facendo contento anche il presidente Obama. Quella che resta, alla fine, è che la missione Nato voluta dal potere a stelle e strisce ha compiuto innegabili errori di approccio e sta pagando pure l’uccisione di civili che ha troppo spesso accompagnato i raid anti-talebani, crean­do diffidenza, se non aperta ostilità, ver­so la presenza di truppe straniere. Il so­stegno della popolazione si può conqui­stare con aiuti e opere pubbliche in un Paese povero e costantemente riportato al punto di partenza dello sviluppo dalle guerre che lo hanno devastato. Non sarà comunque un’impresa facile o rapida. Di fronte alle pressioni di Washington, l’I­talia e l'Europa chinano la testa e dicono sempre di sì nell’impegno su uno scacchiere insanguinato e terribilmente appesantito da relativi costi (an­che umani, va purtroppo aggiunto) che ne precludono un ritorno alla normalità acclarata la netta intenzione di seguire l’America nel tentativo (non necessaria­mente destinato al successo) di evitare che l’Afghanistan ripiombi nel caos. E tutto ciò comporta nuovi invii di for­ze e accresciuti rischi. D’altra parte, rima­nere in mezzo al guado, in uno stillicidio di attentati, in un alternarsi di avanzate e di ripiegamenti, non gioverà né agli abi­tanti, cui generosamente stiamo cercando di portare sostegno, né all’obiettivo geo­strategico più ampio. Di Afghanistan sentiremo ancora parlare. Sarebbe quindi meglio affrontare la que­stione in modo più esplicito e ponderato. La politica, in particolare, non ha soltan­to il compito di esprimere solidarietà alle Forze armate. Deve discutere e decidere. Certo, non è detto che lo debba sempre fare in prima persona il Pifferaio di Arcore. Ci sarà sicuramente qualcuno che potrebbe farlo meglio...

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