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martedì 10 giugno 2008

un popolo di santi, poeti, navigatori e...zozzoni!


Quando si parla degli italiani non si può non affondare nelle "sabbie mobili" delle frasi fatte, degli stereotipi, delle classificazioni che fanno gli altri popoli del nostro. Chi ci vede con invidia, chi con malcelata compassione, chi con sufficienza. Ma comunque tutti hanno a che ridire sugli usi e costumi del popolo italico. Oltre ad essere universalmente conosciuti come un popolo di santi, navigatori e poeti, ultimamente ci conoscono anche e soprattutto come un popolo di zozzoni, immersi nelle immondizie partenopee estese a tutto l'italico stivale. E un arguto ed intelligente scrittore come Andrea De Carlo ci scrive su anche un ottimo articolo, pubblicato ieri su Il Sole 24Ore dal titolo "Italiani campioni di immondizia" che vi voglio riproporre. Buona lettura. Qualche settimana fa stavo attraversando una strada a Milano, teso come in un percorso di guerra per fronteggiare accelerate potenzialmente mortali di automobilisti o motociclisti insofferenti delle regole della circolazione. Al volante di una delle macchine ferme nel traffico ho visto una giovane signora soffiarsi il naso, abbassare il finestrino e, con la più grande naturalezza, buttare fuori il fazzoletto di carta e la scatola ormai vuota che l'aveva contenuto. I nostri sguardi si sono incrociati: ho mimato un applauso sarcastico. La guidatrice – vestita, pettinata e truccata con estrema cura, seduta nella sua vettura ben lucida – ha allargato le braccia, come a esprimere rammarico per un evento indipendente dalla sua volontà. Subito dopo il suo imbarazzo si è trasformato in risentimento, il gesto a due mani in un gesto a una mano sola. Le sue labbra dietro il parabrezza si sono mosse rabbiose, a pronunciare parole che potevo facilmente immaginare. Mentre continuavo il mio percorso, ripensavo al contrasto tra la cura che la guidatrice riservava al proprio aspetto personale e la trascuratezza con cui trattava la città in cui viveva. Il suo comportamento discende probabilmente dall'idea che il mondo appena fuori dalla porta di casa, o dall'abitacolo della propria automobile, sia terra di nessuno. È una concezione diffusa, da noi: basta osservare un qualunque prato o spiaggia alla fine di una giornata di festa, quando le famigliole si ritirano lasciandosi dietro fogli di giornale, sacchetti di plastica, bottiglie, tappi, mozziconi di sigaretta. Nei luoghi costruiti, come in quelli naturali, ci si libera dei rifiuti come di pensieri ingombranti e fastidiosi. Lo fanno i singoli cittadini, lo fanno le imprese private e pubbliche che riversano nel territorio migliaia di tonnellate di spazzatura e scorie inquinanti. Messe di fronte alle conseguenze dei loro atti, reagiscono come la guidatrice del mio incontro, allargando le braccia, come se la responsabilità fosse da attribuirsi a forze esterne e superiori alle loro. Si potrebbe parlare di mancanza di coscienza ambientale o civica, ma in fondo si tratta di espressioni di una maleducazione diffusa, i cui effetti, sgradevoli su scala personale, si traducono su scala più vasta in sfacelo e barbarie. È difficile stabilire una graduatoria delle forme di maleducazione in ordine di gravità, perché i comportamenti umani sono legati uno all'altro in modo inscindibile e un'espressione apparentemente innocua può rivelarsi più pericolosa di come sembra. Per esempio, è frequente vedere persone che, malgrado abbiano investito una grande quantità di tempo e attenzione nel proprio aspetto, mangiano in modo indecente: stravaccate su un gomito, a testa bassa, sollevando la forchetta con uno sciatto e incurante movimento del polso. Può sembrare una forma minore di maleducazione, fastidiosa per ragioni puramente estetiche. Ma se pensiamo che da sempre il comportamento a tavola rivela non solo il livello di educazione di chi mangia, ma addirittura le sue caratteristiche morali, capiamo che è un sintomo da non sottovalutare. Nella prima metà del secolo scorso una cornice sociale insopportabilmente vecchia e oppressiva è stata rotta per far posto alla libera espressione, e quello che è rimasto sono solo macerie. La libera espressione, invece di tendere verso l'alto – verso la meravigliosa armonia naturale – ha puntato rapidamente verso il basso: verso il gesto triviale, la mancanza di rispetto, il gergo postribolare, l'immagine truculenta, l'aggressione verbale e fisica. Alla distanza formale e alla pantomima sociale si sono sostituiti la vicinanza appiccicosa e molesta, l'avidità e l'arroganza ostentate, la mancanza di pudore, l'assenza di misura. I genitori che non correggono i modi dei propri figli a tavola arrivano, per cedimenti morali progressivi, a giustificarli anche quando si mettono a tirare sassi da un cavalcavia o – per citare episodi di cronaca italiana più recenti – a bruciare i capelli di un compagno di scuola, a travolgere persone sulle strisce pedonali e darsi alla fuga, a stuprare una compagna di scuola per poi strangolarla e buttarla in un pozzo. Interrogati da telecamere acritiche e conniventi, padri e madri dicono «In fondo sono ragazzi», e guardano nell'obbiettivo. Il fatto è che la famiglia italiana produce sempre più spesso persone con la tendenza a occuparsi esclusivamente di sé stesse e delle proprie ragioni, convinte di essere al centro dell'universo, senza alcuna curiosità né attenzione per gli altri, incapaci di ascoltare. È forse la forma ultima di maleducazione, e si accompagna all'idea che non ci sia nessun bisogno di imparare, migliorarsi, avere delle aspirazioni, coltivare delle capacità. Nella propria casa, anche il peggior somaro può sentirsi il protagonista del suo personale spettacolo per il solo fatto di esistere, con i genitori a fare da claque e da pubblico a servizio permanente, passivo e succube come un vero pubblico televisivo. Alla fine è qui che si arriva, parlando di maleducazione: alla televisione, l'unico vero diffusore di cultura che è rimasto in questo Paese. Nella sua apparente neutralità, di strumento che si limita a riprodurre il mondo come è, esercita un potere di influenzare e determinare comportamenti infinitamente maggiore di quello della scuola o della famiglia. Dietro la televisione c'è la forza implacabile di un mercato che ha bisogno di milioni di consumatori condizionati all'emulazione, privi di spirito critico e di criteri autonomi di scelta, incapaci di riconoscere per conto proprio la qualità e perfino di distinguere il giusto dallo sbagliato. Vale a dire, maleducati. Quanto agli altri educatori, alcuni hanno abdicato al loro ruolo per viltà o per pigrizia, altri assistono impotenti, altri ancora nel tentativo di lottare contro un deterioramento generalizzato finiscono per ritrovarsi fuori dal tempo. Così la televisione continua, incontrastata, nella sua opera di diffusione di informazioni frammentarie, manipolate o sbagliate, mode deteriori, ambiguità, equivoci. Assolve per astensione di giudizio, dà voce alle ragioni dei colpevoli di ogni delitto, chiede ossessivamente ai parenti delle vittime di perdonare i loro carnefici. Senza mai assumersene la responsabilità, detta il lessico, i comportamenti, i modi di vestirsi, di sistemarsi i capelli, di stabilire relazioni di amicizia o d'amore. Da tempo i riferimenti di una giovane persona "media" non sono più i divi cinematografici, e nemmeno quelli, più ordinari e accessibili, televisivi. Sono le persone normali che la televisione usa nei suoi "reality show", e che ne escono trionfanti per il solo fatto di essere rimaste abbastanza a lungo sotto l'occhio elettronico che le trasporta in ogni casa. La loro consacrazione prescinde totalmente dai loro difetti caratteriali, dalle loro carenze morali, dai loro limiti culturali, dalla loro incapacità di esprimersi e anche di pensare in modo articolato. Perché in fondo la maleducazione svolge, con efficacia e rapidità superiori, il ruolo che in un mondo civile spetta all'educazione: offre dei modelli, pronti per essere adottati.

2 Commenti:

  • Alle mercoledì 11 giugno 2008 alle ore 19:01:00 GMT+2 , Anonymous Anonimo ha detto...

    Buonasera,ho letto l'articolo e,purtroppo,contiene molte verità.Ultimamente noi italiani siamo sempre pronti a criticare gli altri,ad ergerci a giudici,ma abbiamo sempre delle giustificazioni per le nostre cattive abitudini.Ottimo il capoverso di critica alla televisione per lo spazio riservato a chi commette i più feroci delitti.MAURO.

     
  • Alle mercoledì 11 giugno 2008 alle ore 20:40:00 GMT+2 , Blogger nomadus ha detto...

    Caro MAURO, è il solito discorso della trave e della pagliuzza. Purtroppo le nostre cattive abitudini sono dure a morire...E certo che poi non mi sembra uno sport praticabile quello di criticare le altrui defaillances senza prima guardarci allo specchio. Buona serata amico mio.

     

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