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sabato 28 giugno 2008

Luigi Crespi ci spiega le paure del cavaliere


Uno degli uomini più vicini a Silvio Berlusconi (almeno fino a qualche anno fa), l'ex sondaggista di fiducia Luigi Crespi, noto alle cronache giudiziarie per il crack finanziario della sua società HDC (dalla cui costola sono uscite le famose intercettazioni Berlusconi-Saccà), ha scritto un articolo per un sito web in cui cerca di spiegare questa esagerata "fobìa" del carcere e dei magistrati che accompagna oramai da quindici anni il cavaliere. Un racconto alquanto interessante che vi ripropongo integralmente. Buona lettura. "Sui magistrati, a questo giro, Berlusconi ha ragione. Il problema è che lui poi esagera un tantino, è troppo ossessionato da queste cose, ha troppa paura di finire in galera…”. Di chi sono queste parole? Forse del peggior nemico del Silvio nazionale, di un’infuriato Di Pietro o di un diffamatore che tenta di minare le fondamenta carismatiche della leadership del Premier?
Ma no! Queste parole sono di Umberto Bossi, amico e fedelissimo alleato che attraverso un apparente ed innocuo intercalare dice una verità spaventosa che condiziona la nostra storia e la nostra convivenza civile. Il capo, il generale, il comandante ha paura nel momento di massima estensione della sua forza, espressa attraverso un consenso plebiscitario che non si limita alla sua persona e alla simpatia che può generare ma si estende alle sue scelte, al suo pensiero, a tutte le sue iniziative. La maggioranza degli italiani è convinta che stia facendo bene per la sicurezza e l’economia, che stia sistemando i rifiuti di Napoli e la questione Alitalia, la maggioranza si schiera con lui quando pretende il ritorno al nucleare, e addirittura quando bacchetta il Papa chiedendo l'eucarestia per i divorziati. La maggioranza è con Berlusconi anche contro i giudici colpevoli di avere ordito nel tempo una vera persecuzione nei suoi confronti, e per questo chiede l’immunità, torna a fare la faccia cattiva, rompe con il suo “benefattore” Veltroni e la gente, anche in questo caso è con lui. Ma il leader più amato d'Italia ha paura di andare in carcere e questo gli impedisce di utilizzare l'enorme consenso che ha nel Paese (e la stragrande maggioranza parlamentare) per determinare quelle riforme della giustizia indispensabili, come ad esempio la separazione delle carriere o il feticcio dell'obbligatorietà dell'azione penale, e si limita scongiurare il rischio di una condanna a oltre 5 anni che il processo Mills gli potrebbe riservare.
Si ripropone la situazione del 2002 quando Berlusconi ha optato per una serie di leggi ad personam anzichè affrontare delle giuste ed eque riforme del sistema giudiziario. All'epoca però il clima politico era differente, la Magistratura vantava una fiducia maggioritaria nell'opinione pubblica che ha perso dopo vicende come quella di De Magistris, inoltre l'opposizione non era certamente nelle condizioni in cui si trova oggi ed il consenso del Premier non era ai livelli odierni. Ma su una cosa certamente Berlusconi sbaglia: le toghe non sono nè rosse, nè gialle, non sono determinate da una ideologia politica ma rappresentano una visione della società di una casta di eletti, di chi per concorso sa cosa è giusto e sbagliato e soprattutto definisce chi sta dalla parte del bene e chi da quella del male, ben lontani da quelle figure atte a tutelare i diritti dei cittadini ed il rispetto delle leggi.
La persecuzione nei confronti di Berlusconi è ormai un dato di fatto e lo testimoniano le migliaia di atti giudiziari posti in essere in questi anni che, al netto delle leggi ad personam, non hanno intaccato la fedina penale del Cavaliere, nè tantomeno la sua credibilità. Ma se quella di Berlusconi è un'ossessione devo dire che anche i giudici ne sono a loro volta ossessionati e la mia esperienza diretta, personale, ne è una prova inconfutabile. Quando nel 2003 ero a capo della HDC e mi sono trovato in conflitto con i miei soci finanziatori della Banca Popolare di Lodi e nonostante tutte le carte, i documenti e le normative fossero a mio favore, tanto da far sperare in una rapida e soddisfacente chiusura della vicenda, ho avuto modo di verificare come la paura possa condizionare Berlusconi tanto da "consigliarmi" in quel caso di non procedere nell'azione contro la BPL e di cedere alla stessa il pacchetto azionario di tutte le mie società, in virtù del fatto che negli anni che avevano preceduto la vittoria del 2001 ero stato il gestore, cioè avevo incassato, pagato, gestito i soldi delle campagne elettorali di Forza Italia, lavoro tra l'altro svolto in modo ineccepibile e con ottimi risultati. Fu questo lavoro a legittimare e gettare le basi del successo temporaneo di HDC, ma al contempo rappresentava un potenziale pericolo, che io non vedevo, ma di cui è evidente Berlusconi aveva paura. La paura spesso è compagna della viltà e così dopo aver "ceduto", il silenzio intorno a me è stato tombale, soprattutto quando la BPL non ha mantenuto nessuno dei suoi impegni. Io che ho sempre creduto, un pò ingenuamente, nella Magistratura e ho sempre ritenuto che Berlusconi esagerasse un pò, non ho esitato ha denunciare la banca per estorsione contrattuale e truffa, denuncia incardinata nel processo che mi auguro che prima o poi vedrà la luce.
La vicenda, manco a dirlo e secondo me solo perchè coinvolgeva Berlusconi, mi è costata 8 giorni a San Vittore e un lunghissimo interrogatorio che sempre di più si allontanava dai fatti e dalle responsabilità oggettive che avevano determinato il dissesto dell'azienda, e sempre di più mi sono trovato nella condizione di dover spiegare ai PM e dimostrare cose per me inconcepibili, cioè che le mie aziende non erano una fonte di fianziamento illecito per le campagne elettorali di Berlusconi e che quel modello aziendale era stato creato per essere quotato in Borsa e non per costruire ingegnosi fondi neri. Ritenevo risibile che qualcuno potesse solo pensare che il rapporto tra me e Berlusconi fosse fondato sul fatto che gli passassi sotto banco dei soldi, eppure non è stato così. Il fatto che io non avessi nomi o denunce clamorose da fare, mi ha reso debole, poco interessante, ma d'altronde nei 7 anni vissuti ad Arcore, non ho mai visto nulla di illegale e quindi il fatto che dopo di me non siano stati fatti altri arresti e che la vicenda non avesse i risvolti attesi, non ha certamente rafforzato gli anni di intercettazioni telefoniche che però hanno dilaniato la vita privata e pubblica di persone, spesso amici che magari nulla centravano con le indagini. Questo però alimentava bene l'idea preconcetta che tutto ciò che ha a che fare con Berlusconi rappresenti malaffare e intrigo, ben alimentata dai giornali come ad esempio il Corriere della Sera che in questo caso hanno agito come veri e propri amplificatori della Procura, senza mai degnarsi di sentire, nemmeno una volta quelle che erano le posizioni della difesa.
Certo, i PM devono scoprire reati, ma una persona che sta in carcere, privata della sua libertà, quanto può essere attendibile, e quanto può essere giusto chiedergli di denunciare reati? E quanti hanno la schiena dritta e non hanno mentito sulle responsabilità altrui solo per riconquistare la libertà? Io non ho mentito nemmeno su Agostino Saccà che da direttore generale della Rai, mi affidò, dopo la vittoria di una gara, l'appalto dei dati elettorali, proiezioni ed exit, e non può essere sfuggito che l'ultimo lavoro decente in Rai è stato proprio firmato dal sottoscritto e chi ha preso il mio posto spesso si è reso ridicolo. Ma i PM queste cose non le guardano, loro vanno a caccia di reati, ed in quel caso l'idea era che io avessi ottenuto il lavoro grazie a Saccà e a funzionari resi compiacenti da sollecitazioni economiche, ignorando che in quel caso era stata fatta una gara, con tanto di commissari e che è stata la prima volta che questo lavoro è stato assegnato con questo metodo, confrontando gli istituti per il rapporto qualità/prezzo e che la quantità di denaro che la Rai avrebbe speso era inferiore a quella che aveva speso nel passato affidando senza gara, sempre ai soliti, questo appalto. Le indagini hanno poi dimostrato la trasparenza di quella vicenda e allora non dico che bisognerebbe dare un premio a Saccà perchè ha fatto risparmiare milioni di euro alla sua azienda, ed è giusto indagare su qualsiasi cosa, ma allora perchè non indagare anche sulle assegnazioni fatte in passato senza l'espletamento di nessuna gara? Ma esisteva un pregiudizio che nel caso di Saccà non è rimasto circoscritto solo a Milano. Immaginate cosa sarebbe successo se io avessi testimoniato nel senso in cui stavano indagando i PM per la mia libertà personale, i protagonisti sarebbero finiti nel tritacarne mediatico e forse solo dopo i tre gradi di giudizio sarebbe emersa la verità, ma sarebbe stato troppo tardi.
Quello che ho tratto dalle oltre 40 ore di interrogatorio è che i PM abbiano un'idea criminogena dei rapporti tra le persone e questo per uno come me che si è sempre fidato della giustizia e che mai in questi anni ha parlato di questa vicenda personale per rispetto delle indagini in corso, oggi chiuse e che ben prima di questa storia aveva lasciato Berlusconi perchè aveva smesso di credere in lui come leader politico, diventa un elemento di sofferenza civile e di perdita di fiducia nelle istituzioni.
Ma è tempo che Berlusconi vada oltre le sue paure e metta in opera quelle riforme attese e condivise dall'opinione pubblica, non tanto per determinare la sua salvezza ma per garantire una giustizia giusta a tutti i cittadini italiani. E' paradossale, per uno dei massimi esponenti delle istituzioni, temere il giudizio in un processo a cui dovrebbe sottoporsi con serenità, anche perchè la magistratura non è fatta solo di PM in cattiva fede e ossessionati da Berlusconi: questi sono una minoranza sempre meno presenti nelle aule dei tribunali e sempre di più invece negli studi televisivi e nelle aule del Parlamento. L'unico giudizio che è giusto temere, ma per rispetto non certo per paura, è quello della Storia.

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