la tela del ragno del cavaliere
Seguendo la conferenza stampa di ieri pomeriggio di Silvio Berlusconi da Napoli (in diretta su Rainews24), in occasione della sua ennesima visita alla città per cercare di risolvere il problema rifiuti, ho intravisto nel suo sguardo e capito dalle sue parole che la sua più grande preoccupazione attuale non è tanto quella di rimuovere la monnezza dalle strade partenopee, quanto quella di poter velocemente portare a termine il suo progetto sulle intercettazioni, e di conseguenza uscire indenne da una situazione giudiziaria (il processo Mills di Milano, dove è accusato di aver corrotto con 600 mila dollari l'avvocato inglese David Mills per non fargli rivelare in qualità di testimone di aver "...gestito la sottoscrizione di fittizi contratti di compravendita di diritti di trasmissione tra società occultamente appartenenti al gruppo Fininvest..." come si legge nel capo d'accusa dei pm milanesi Fabio De Pasquale e Alfredo Robledo) alquanto pesante ed ingarbugliata. Il processo era stato sospeso per le elezioni politiche di aprile (non è difficile capire il motivo per cui il cavaliere tenesse tanto a vincerle...) ed ora dovrebbe riprendere, a patto che lo staff "tecnico" berlusconiano (Niccolò Ghedini in primis) non riesca a trovare in tempi rapidissimi la chiave di volta per far cadere tutto (come al solito) nel limbo delle prescrizioni o del non luogo a procedere. E questa mia personalissima impressione è stata avallata anche da Liana Milella che oggi su la Repubblica scrive questo interessante articolo che vi voglio riproporre integralmente. Buona lettura. Un gradino dopo l'altro. Passando per una norma che blocchi tutti i processi in corso per un anno, e tra questi principalmente quelli di Berlusconi a Milano (corruzione Mills, diritti televisivi Medusa). E puntando poi diritto a un disegno di legge che riproponga, riveduto e corretto per evitare i fulmini della Consulta, il famoso lodo Schifani, la legge che nel 2003 fermò per sei mesi tutti i procedimenti contro le cinque più alte cariche dello Stato. Cavaliere compreso, visto che l'attuale presidente del Consiglio rivestiva la stessa carica allora e, per giunta nel semestre di presidente di turno della Ue, vedeva incombergli addosso la conclusione del processo Sme. Il cammino è segnato, i passi legislativi decisi, i testi di massima già pronti, visto che Niccolò Ghedini, avvocato e consigliere giuridico del premier, ha lavorato mentre il capo di Forza Italia stava all'opposizione. L'unica incognita, e non di poco conto, sta nella Lega che vigila, legge e stanga i tentativi di mandare avanti progetti ad personam che poco piacerebbero al suo elettorato. È già successo, con un doppio e pesante intervento: il primo, con un altolà del ministro dell'Interno Roberto Maroni contro l'ipotesi di riaprire, a tempo ormai scaduto, le maglie del patteggiamento, infilando la norma nel decreto sicurezza. Il secondo stop, ancora riservato, è arrivato dallo stesso Maroni, quando si è profilata l'ipotesi di piazzare, sempre nel dl, un blocco generalizzato dei processi per mandare avanti solo quelli di più rilevante allarme sociale. Maroni ha detto no, al Senato il decreto andrà avanti com'è, ma non è escluso che Berlusconi torni alla carica. L'obiettivo è troppo importante per chi vuole governare con le mani libere da processi passati e futuri.
In questa strategia l'idea di ricorrere a una legge d'urgenza per bloccare le intercettazioni, anche se sarebbe piaciuta al premier per la sua speditezza, non si è mai consolidata in una richiesta esplicita. E dunque quello di ieri - il ddl sugli ascolti che diventa un dl nell'ordine del giorno del consiglio - è un mero errore formale, una svista. "Sarà stato un lapsus freudiano" come lo definisce, facendosi una risata, Bobo Maroni mentre arriva al Senato per seguire il voto sulle pregiudiziali di costituzionalità sul dl sicurezza. Maroni s'incontra con l'ex Guardasigilli Roberto Castelli. Tra i due corre una pacca sulle spalle e una battuta. Dice Maroni: "Hai visto? Su corruzione e concussione ho seguito la tua linea. Per entrambi i reati, e per quelli della pubblica amministrazione, le intercettazioni saranno possibili". Su questo la Lega, ancora ieri, era rigida e irremovibile. E oggi Bossi lo ripeterà a Berlusconi. Di ricorrere al decreto, invece, non s'è mai parlato perché si è sempre saputo che la strada non era percorribile. Se Berlusconi in cuor suor ci ha pensato e lo ha desiderato non lo ha chiesto. Lo conferma il Guardasigilli Angelino Alfano che non riesce a spiegarsi lo sbaglio. "Decreto? Un incredibile errore, ma un errore e basta. Ci metto la mano sul fuoco". Del resto, a Palazzo Chigi tutti sapevano bene, per le tante telefonate intercorse tra il sottosegretario alla presidenza Gianni Letta e il Colle, quale fosse la posizione di Napolitano. Che poi è la stessa di Ciampi il quale, il 9 settembre 2005, quando Castelli presentò il ddl sulle intercettazioni, escluse che si potesse ricorrere alla decretazione d'urgenza. La partita è ben altra. E a Berlusconi, che punta a togliersi dai piedi i suoi processi (Milano, e Napoli per i colloqui con l'ex presidente di Rai Fiction Saccà), poco importa di litigare col Colle per le intercettazioni. Per le quale semmai, con la sponda di Napolitano, può spuntare il voto dei democratici. Il nodo è tutt'altro. Il Cavaliere vuole evitare che i processi di Milano arrivino a sentenza. È irritato per l'accelerazione imposta nel procedimento Mills in cui è imputato per corruzione giudiziaria per via della falsa testimonianza dell'avvocato londinese. Per fermare le toghe c'è una sola via: prima bloccare il processo poi ricorrere a un nuovo lodo Schifani. Il piano di Ghedini era perfetto. Intrecciato con le norme sulla sicurezza. Poiché i tribunali sono intasati e la polizia si lamenta che ladri e scippatori, una volta arrestati, ritornano liberi, l'unica via è anticipare quei processi. Per farlo bisogna bloccare, per un anno, tutti gli altri. Compresi quelli del Cavaliere. Quando Maroni si è visto mettere sotto il naso il progetto lo ha bloccato. La strategia giudiziaria del Cavaliere ha subito una battuta di arresto. Ma la norma del congela i processi è lì, pronta a rispuntare da un momento all'altro. Poi toccherà al lodo Schifani purgato da quelle anomalie - la violazione del principio di uguaglianza e del diritto di difesa - che costrinsero la Consulta a bocciarlo. Non serve una legge costituzionale, come la Corte disse a gennaio 2004, quindi il premier può andare avanti. Ma prima i suoi processi devono fermarsi. Lega permettendo.
In questa strategia l'idea di ricorrere a una legge d'urgenza per bloccare le intercettazioni, anche se sarebbe piaciuta al premier per la sua speditezza, non si è mai consolidata in una richiesta esplicita. E dunque quello di ieri - il ddl sugli ascolti che diventa un dl nell'ordine del giorno del consiglio - è un mero errore formale, una svista. "Sarà stato un lapsus freudiano" come lo definisce, facendosi una risata, Bobo Maroni mentre arriva al Senato per seguire il voto sulle pregiudiziali di costituzionalità sul dl sicurezza. Maroni s'incontra con l'ex Guardasigilli Roberto Castelli. Tra i due corre una pacca sulle spalle e una battuta. Dice Maroni: "Hai visto? Su corruzione e concussione ho seguito la tua linea. Per entrambi i reati, e per quelli della pubblica amministrazione, le intercettazioni saranno possibili". Su questo la Lega, ancora ieri, era rigida e irremovibile. E oggi Bossi lo ripeterà a Berlusconi. Di ricorrere al decreto, invece, non s'è mai parlato perché si è sempre saputo che la strada non era percorribile. Se Berlusconi in cuor suor ci ha pensato e lo ha desiderato non lo ha chiesto. Lo conferma il Guardasigilli Angelino Alfano che non riesce a spiegarsi lo sbaglio. "Decreto? Un incredibile errore, ma un errore e basta. Ci metto la mano sul fuoco". Del resto, a Palazzo Chigi tutti sapevano bene, per le tante telefonate intercorse tra il sottosegretario alla presidenza Gianni Letta e il Colle, quale fosse la posizione di Napolitano. Che poi è la stessa di Ciampi il quale, il 9 settembre 2005, quando Castelli presentò il ddl sulle intercettazioni, escluse che si potesse ricorrere alla decretazione d'urgenza. La partita è ben altra. E a Berlusconi, che punta a togliersi dai piedi i suoi processi (Milano, e Napoli per i colloqui con l'ex presidente di Rai Fiction Saccà), poco importa di litigare col Colle per le intercettazioni. Per le quale semmai, con la sponda di Napolitano, può spuntare il voto dei democratici. Il nodo è tutt'altro. Il Cavaliere vuole evitare che i processi di Milano arrivino a sentenza. È irritato per l'accelerazione imposta nel procedimento Mills in cui è imputato per corruzione giudiziaria per via della falsa testimonianza dell'avvocato londinese. Per fermare le toghe c'è una sola via: prima bloccare il processo poi ricorrere a un nuovo lodo Schifani. Il piano di Ghedini era perfetto. Intrecciato con le norme sulla sicurezza. Poiché i tribunali sono intasati e la polizia si lamenta che ladri e scippatori, una volta arrestati, ritornano liberi, l'unica via è anticipare quei processi. Per farlo bisogna bloccare, per un anno, tutti gli altri. Compresi quelli del Cavaliere. Quando Maroni si è visto mettere sotto il naso il progetto lo ha bloccato. La strategia giudiziaria del Cavaliere ha subito una battuta di arresto. Ma la norma del congela i processi è lì, pronta a rispuntare da un momento all'altro. Poi toccherà al lodo Schifani purgato da quelle anomalie - la violazione del principio di uguaglianza e del diritto di difesa - che costrinsero la Consulta a bocciarlo. Non serve una legge costituzionale, come la Corte disse a gennaio 2004, quindi il premier può andare avanti. Ma prima i suoi processi devono fermarsi. Lega permettendo.
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