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mercoledì 10 febbraio 2010

Guido Bertolaso, indagato non certo per caso


Non ci voleva proprio questa tegola giudiziaria (http://www.repubblica.it/cronaca/2010/02/10/news/arrestato_vice_bertolaso-2243342/) sul capo di Guido Bertolaso, in un momento di massimo splendore mediatico e quasi alla vigilia di una nomina a ministro (come anticipato dal Pifferaio di Arcore lo scorso 29 gennaio). Il potente ex medico, con specializzazione in malattie tropicali africane, si ritrova ora invischiato in una melma, fatta di inchieste e di intercettazioni telefoniche, molto più simile alle sabbie mobili che non agli sfarzosi palazzi del potere da lui frequentati nell'ultimo decennio. Va dato atto, comunque, al prode Bertolaso il significativo merito di aver rimesso tutti i suoi incarichi nelle mani del suo mentore di Palazzo Chigi, non appena saputo dell'avviso di garanzia. Un gesto assolutamente non comune e non praticato da ministri e potenti di turno di questa scellerata Seconda Repubblica, più propensi a bullonare le proprie poltrone al pavimento piuttosto che dar segnali al popolo di resa o di auspicabili dimissioni. Gettando un'occhiata al corposo curriculum di Bertolaso (insignito fra l'altro di onorificenze tipo Cavaliere di Gran Croce della Repubblica, medaglia d'oro al merito nella Sanità Pubblica, medaglia d'argento di pubblica benemerenza della Protezione Civile, cittadinanza onoraria di Ostuni e due lauree honoris causae) mi accorgo della parentela con un pezzo da novanta del Vaticano (Camillo Ruini è suo zio...) e allora capisco il motivo per cui nel 2000 affidano proprio a lui tutte le incombenze (lautamente remunerate) per il Giubileo e successivamente nel 2005 (alla morte di papa Wojtyla) l'organizzazione per i funerali del Pontefice più amato. Dal settembre 2001 è diventato (a seguito dello scioglimento per decreto della vecchia Agenzia della Protezione Civile, all'epoca diretta dal prof. Franco Barberi) uno degli uomini più potenti d'Italia, coccolato sotto l'ala protettiva dell'amato Silvio. Nel contempo è diventato inviso e soffusamente odiato da molti ministri con e senza portafoglio, forse proprio perchè il suo è senz'altro il portafoglio più gonfio di tutti: una sorta di bancomat illimitato, un pozzo senza fine, da cui attingere senza dover rendicontare niente a nessuno. Eccetto al suo padrone. Il segreto della sua forza risiede negli enormi flussi di denaro che è in grado di gestire: persino i servizi segreti (che notoriamente sono dotati di una gestione fuori bilancio) hanno certi obblighi di trasparenza che lui non ha. Insomma, un ex camice bianco che lavorava nel terzo mondo per conto della Farnesina e che, a causa del suo carattere litigioso e arrogante, fu licenziato dall'allora direttore generale della Cooperazione Paolo Galli e che, successivamente, ebbe anche un feroce scontro con il ministro degli Esteri dell'epoca (Lamberto Dini), sembrava inevitabilmente avviato verso una parabola professionale destinata all'estinzione. Invece, sorprendentemente, in questa Seconda Repubblica povera e stracciona, che non ha perduto affatto i vizi clientelari della precedente, basta poter gestire (in nome e per conto di qualcuno che si trova dalle parti di Palazzo Grazioli...) una montagna di soldi per diventare un pezzo da novanta: soprattutto quando non devi rendere conto a chicchessia. In quest'ultimo decennio, in buona sostanza, Berlusconi ha scoperto (con la Protezione Civile) una sorta di lampada di Aladino e Bertolaso è stato il suo genio silenzioso e obbediente (debitamente e perennemente oliato...), fino a questo inaspettato (mica tanto poi) e increscioso incidente di percorso, con i soliti giudici di sinistra, questa volta di Firenze, sempre pronti a rompere le uova nel ricco paniere. E non solo quelle.

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