quel partito che non c'è...
Nell'approssimarsi delle elezioni regionali di fine marzo, se mi si chiedesse di tracciare un'ipotetica linea ideale che fosse in grado di attraversare l'intero schieramento politico di centrosinistra, potrei rispondere evidenziando i punti portanti (almeno a mio giudizio) di questa linea cosituiti dai nomi di Nichi Vendola, Emma Bonino, Antonio Di Pietro e Pierferdinando Casini. Tutti personaggi ai quali il maggior partito di opposizione, vale a dire il Partito Democratico, ha delegato (nel bene e nel male) l'iniziativa politica nei confronti del governo del Pifferaio di Arcore. In questo contesto, a mio modo di vedere, del PD non se ne trovano praticamente tracce, se non per quanto riguarda stantìe disquisizione teoriche sulle cose che potevano essere e che non sono state. In buona sostanza, se il Partito Democratico volesse realmente sopravvivere, in vista della scadenza del 28 e 29 marzo, dovrebbe necessariamente pescare i suoi candidati tra quelli che, ai tempi dell'ex PCI, venivano definiti indipendenti di sinistra. A conferma di una mia concreta e attuale sensazione: che il PD rimane in questo momento un partito senza anima e senza testa, incapace di avanzare una qualsiasi proposta politica. Con una situazione del genere, per quanto riguarda lo stato d'essere di quello che dovrebbe presentarsi invece come uno schieramento protagonista della scena politica italiana, diventa difficile (per non dire impossibile) parlare di confronto con l'altro competitor, rappresentato dal Popolo della Libertà, per quanti problemi anch'esso possa avere. A ben vedere l'ipotetico confronto presuppone la messa in campo di progetti politici di pari dignità e di pari impatto per ciò che concerne le prospettive di sviluppo del nostro Paese. Ma se questi termini di confronto vengono miseramente a mancare, allora ne risente in modo inevitabile il progredire dello stesso processo democratico da cui dipende lo stato di salute di qualsivoglia Paese civile. Spero non appaia fuori luogo (per quei pochi lettori che mi seguono) fare un riferimento alla recente protesta dei magistrati che, per manifestare la loro contrarietà ai provvedimenti governativi sulla giustizia, hanno abbandonato le aule dove si celebrava l'inaugurazione dell'anno giudiziario nel momento in cui ha preso la parola il rappresentante del governo. Invece di esprimere il mio giudizio in merito, trovo giusto ribadire un concetto che sta alla base di ogni sistema democratico: le leggi le fa il Parlamento, liberamente eletto dal popolo, e i magistrati le applicano nella loro autonomia che però non può e non deve sconfinare nel giudizio politico (questa legge è buona, quest'altra no) su quanto viene deciso per l'appunto dal Parlamento stesso. Quella stessa autonomia, giustamente rivendicata dalla magistratura nell'applicazione delle leggi, presuppone però il riconoscimento della pari autonomia della politica (e quindi del Parlamento) nell'elaborazione e nell'approvazione delle leggi medesime. Il giudice che, oltre ad applicare le leggi, vuole anche stabilire quali tra di esse sia una buona legge e quale no, non ha che una strada davanti a sè: lasciare la magistratura e scegliere la politica. Perchè in un Paese che voglia realmente rimanere democratico, una commistione tra le due cose francamente non è possibile. Nè da una parte nè, ovviamente, dall'altra. Al riguardo un partito di opposizione, che volesse dimostrare di avere le caratteristiche indispensabili per proporsi come partito di governo (secondo le legittime aspettative di un terzo degli italiani), non cavalcherebbe un atteggiamento sbagliato di una parte dei giudici di casa nostra, ma si misurerebbe con l'attuale maggioranza (ove possibile) per cercare di realizzare quella riforma della giustizia che è oramai tra le necessità più impellenti e ineluttabili per il nostro Paese. Ma così, purtroppo, non è. A conferma che quello che manca al sistema politico italiano (per credere in un'alternativa) è proprio un partito riformista, liberal-socialista, garantista, di stampo europeo. Disgraziatamente molti italiani sono costretti a fare i conti con questa evidente mancanza, tutti i giorni e su tutti i problemi che contano. Per di più, a cinquantaquattro giorni dall'appuntamento elettorale, siamo alle prese con un Partito Democratico che dice una cosa e fa esattamente l'opposto; dà da intendere di essere una cosa e poi dimostra nei fatti di esserne un'altra. Oggi come ieri, siamo sempre alla ricerca di quel partito che non c'è...
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