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domenica 13 dicembre 2009

una pericolosa crisi di identità nazionale


A volte faccio finta di niente, cerco di non pensarci. Ma la realtà dei fatti è purtroppo impietosamente sotto i miei occhi. La situazione sociale e reale (per non parlare di quella politica) del mio Paese in questo momento è terribilmente preoccupante, oserei dire angosciante. Le arcinote conseguenze della crisi globale sulla nostra vita sono lì a testimoniare (seppur ammortizzate dal senso festivo delle giornate che ci stanno proiettando verso la fine di questo 2009) quanto sia davvero difficile per milioni di famiglie italiane riuscire ad arrivare a far quadrare i conti, i bilanci sempre più in rosso, l'ossessione di poter arrivare alla fine del mese senza quel senso di strangolamento economico e personale. E tutto questo, a mio modesto avviso, può avere anche una sorprendente e ulteriore lettura socio-economica: quella delle inaspettate conseguenze che questa crisi potrà avere su una identità collettiva come la nostra, che da tempo molti osservatori giudicano sempre più fragile e incerta. Da questo punto di vista esiste una rimarcata assenza di un qualunque pensiero collettivo capace di andare oltre la quotidianità e di percepire la reale portata delle cose. In questo momento, secondo me, sono in crisi le tre grandi culture che in passato avevano strutturato e diretto la nostra vita pubblica: la cultura di tradizione risorgimentale, quella riformista dell'impegno socio-politico e quella che si fonda sulla difesa del mercato e della competizione individuale. Si potrà sicuramente discutere la sintesi di questa mia diagnosi ma è pur certo che, qualora il nostro Paese si tirerà completamente fuori da questa crisi, ci troveremo di fronte ad un prevedibile effetto: l'Italia sarà inevitabilmente meno unita dal punto di vista delle sue strutture comportamentali profonde, dei suoi valori collettivi condivisi, del suo modo di guardare al futuro. Un effetto dovuto, principalmente, alla grave assenza (nella èlite politica) di una qualunque idea forte del Paese e delle prospettive tipiche di una comunità nazionale, che determinano un pericoloso senso di stallo, di immobilismo sociale ed economico indirizzato verso una paurosa involuzione che, alla fin fine, va a braccetto con una stomachevole sensazione politica di restaurazione, di regime cartonato e ridipinto dall'assolutismo dispotico del Pifferaio di Arcore. E l'intera politica italiana, fatte le debite e rare eccezioni, sembra poco interessata a interrogarsi su ciò che realmente rappresenta oggi l'essere italiani, l'appartenenza civica e morale raffigurata da una bandiera tricolore e dalla solidarietà nazionale. La politica, in realtà, si mostra sempre più eviscerata e priva di qualsiasi progetto per il nostro Paese ad eccezione di quello circoscritto all'orizzonte dei mesi che, volta per volta, la separa dalla più vicina consultazione elettorale. Anzi, per essere ancora più precisi, una parte del mondo politico appare interessata non già a capire cosa tenga assieme un Paese ma ad accentuare ancora di più le divisioni: sia che si tratti di denunciare il complotto giustizialista sia che si tratti di paventare il pericolo berlusconiano (autoritarismo e populismo innaffiato da una bella dose di mafiosità), una bella fetta di politica sembra unicamente interessata a vincere lo scontro esistente tra le due Italie che oramai va avanti da quindici anni. Come se una volta che una di queste Italie (e non importa quale) avesse vinto, automaticamente l'Italia vera (quella di tutti) potesse esistere ancora. Con la consapevolezza che tutto ciò non potrà mai essere.

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