l'Italia sta andando a puttane, altro che il papi
Questa volta l'argomento dell'odierno mio post è alquanto serio, altro che mignotte di lusso e vizi inconfessabili del Pifferaio. Qui la situazione sta andando veramente in malora, e lo dico dopo i dati forniti ieri dall'ISTAT (http://www.istat.it/salastampa/comunicati/in_calendario/forzelav/20090619_00/) sui 204 mila posti di lavoro letteralmente evaporati rispetto allo stesso periodo dell'anno precedente. Ci stiamo preoccupando se il papi copula con o senza l'ausilio del Viagra e non ci piange il cuore se centinaia di migliaia di italiani stanno a casa rispetto allo scorso anno di questi tempi? Mavalà, come direbbe Ghedini, siamo seri. La prima fotografia dell’occupazione a crisi economica ormai deflagrata restituisce infatti l’istantanea di un apparato produttivo congelato, nel quale le macchine sono spente e la gran parte dei lavoratori stanno a braccia conserte, ma sono ancora lì, nelle aziende, grazie alle massicce dosi di cassa integrazione, allargata e finanziata dall’intervento governativo. Poi (a mano a mano che si ingrandisce l’immagine) ci si accorge dei particolari che segnano la differenza. Il primo già la dice lunga: il saldo di 204mila posti in meno è in realtà la differenza tra le 222mila assunzioni in più di stranieri e la perdita di ben 426mila occupati italiani. Gli immigrati certo sopperiscono al calo demografico italiano e quindi il trend del loro inserimento nel nostro mercato del lavoro sarà una costante per lungo tempo. Non possiamo nasconderci, però, che il dato del loro crescente impiego conferma come essi accettino una serie di lavori di minore qualificazione (e con salari inferiori) rifiutati da molti di noi in settori quali i servizi alla persona, le pulizie, i trasporti, l’edilizia. Non si tratta di scatenare una concorrenza al ribasso ma essere coscienti che in tempi difficili deve aumentare la disponibilità a cogliere le occasioni d’impiego. Tutte, giacché ogni lavoro ha una propria dignità intrinseca. Il secondo particolare a risaltare è che sono i giovani le vittime più numerose. Mentre le regole più stringenti sui pensionamenti hanno protetto gli ultracinquantenni, infatti, nella fascia di età fra i 15 e i 34 anni gli occupati sono calati di ben 408mila unità e il tasso di occupazione è drammaticamente sceso al di sotto della metà, al 47,9%. D’altro canto, mentre i lavoratori dipendenti a tempo indeterminato tengono, anzi aumentano in cifra assoluta (+219mila), il conto della crisi è stato lasciato sul tavolo delle figure meno tutelate: contrattisti a termine (- 154mila), collaboratori (–107mila), artigiani, negozianti e partite Iva (–163mila). Riaprire ancora il dibattito sulle disuguaglianze del nostro welfare (e se fosse stato più opportuno creare subito un assegno unico di disoccupazione) appare oggi francamente un esercizio teorico inutile. Senza il finanziamento della cassa integrazione e con la copertura di un più consistente sussidio di disoccupazione, le imprese avrebbero licenziato un numero assai maggiore di dipendenti. Ci saremmo trovati a dover fronteggiare una massa di uomini e donne di mezza età, per la gran parte con figli a carico, senza più lavoro e con prospettive di reingresso assai ridotte. Non per questo possiamo assistere inerti all’ennesimo colpo che fiacca un’intera generazione di 20-30enni. È pur vero che le forme contrattuali flessibili saranno le prime ad essere riattivate non appena la ripresa farà capolino, ma fino ad allora andrebbe assicurato, coinvolgendo le Regioni, un contributo straordinario all’intera platea di coloro che oggi ne sono privi, come si è fatto recentemente per commercianti e artigiani colpiti dal terremoto. Gli ammortizzatori sociali sono solo un aspetto della strategia anti-crisi. Occorre soprattutto ricreare il lavoro. Essenziali saranno dunque le riforme strutturali più volte richiamate anche dagli industriali, ma è non meno necessario l’impegno degli stessi imprenditori a sostenere redditi e domanda interna attraverso adeguati livelli salariali. I margini ci sono se è vero, come calcolava l’altro ieri Mediobanca, che negli ultimi 10 anni gli stipendi sono aumentati meno della metà rispetto all’incremento della produttività. Il rinnovo dei contratti, con le nuove regole e le relative agevolazioni fiscali, sono una prima occasione da cogliere. Altro che le agevolazioni delle Patrizie di turno...
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