l'occasione mancata (per il PD)
Sembra incredibile a dirsi, ma ogni qualvolta il destino riserva un momento diverso, apprezzabilmente diverso per il Partito Democratico e per le scelte della sua classe dirigente, puntualmente viene disattesa la naturale speranza del popolo della sinistra. Basta guardare alla questione dell'election day. Non è ancora finita la telenovela della data del referendum. Il tempo stringe, questa è l’ultima settimana utile, eppure nonostante i pranzi, i vertici, gli accordi siglati tra il presidente del Consiglio e la Lega, i prezzi già pagati (come ad esempio quello dello spreco di denaro che si poteva destinare alle vittime del terremoto) e i momenti di frizione politica ed ideologica con il presidente della Camera dei Deputati, il governo non è ancora in condizione di pronunciare le parole chiare e univoche che il PD ha chiesto di dire. Il motivo è che alla Lega non basta vincere, la Lega vuole stravincere. Il ministro Roberto Maroni non si accontenterà né dell’accorpamento con la data dei ballottaggi (che comunque un risparmio di denaro pubblico, anche se minore, lo consentirebbe), né del rinvio di un anno (che senza il consenso dei referendari sarebbe comunque un precedente grave, altro che l’incostituzionalità presunta dell’abbinamento con le elezioni europee). No, Maroni vuole che si voti il 14 giugno, perché vuole avere la certezza assoluta che il referendum non raggiunga il quorum. Il Partito Democratico, d'altra parte, punta a sventare questo gioco, o almeno a smascherarlo. Per questo, per non lasciare alibi al governo, dalla segreteria è partita una nota che anziché collocare il PD sull’Aventino (come pure sarebbe stato giustificato fare dopo il no alla richiesta di election day), offre la massima disponibilità a collaborare «a un percorso legislativo che nel rispetto delle regole consenta di votare il 21 giugno, data nella quale si può ottenere un risparmio minore ma significativo». La verità, a mio modesto avviso, è che il percorso verso il voto nello stesso giorno dei ballottaggi risulta essere particolarmente difficile. La legge prevede che si voti per i referendum in una domenica compresa tra il 15 aprile e il 15 giugno, e quindi il governo in pratica è obbligato a fissare in settimana la data del 14. A quel punto potrà intervenire, in tempi strettissimi, con un successivo intervento legislativo che modifichi la decisione, ma il Quirinale ha già discretamente fatto sapere che non è il caso di procedere su questa materia con un decreto. Ecco perché tante carinerie verso l’opposizione: perché un’eventuale leggina per votare il 21 giugno avrebbe bisogno di una corsia preferenziale in Parlamento o rischierebbe di non passare, soprattutto se una parte della maggioranza (la Lega in primis) facesse qualche bizza durante le votazioni. Il referendum comunque, in casa PD, continua a essere considerato solo uno strumento per scardinare il Porcellum, non per riformarlo: per cui un eventuale rinvio all’anno prossimo, se condiviso dai promotori, potrebbe riaprire spazi per una riforma della legge elettorale in Parlamento. Ma allo stato non è questa l’ipotesi più probabile. E intanto per il PD, come al solito, il treno è già passato...
2 Commenti:
Alle giovedì 23 aprile 2009 alle ore 16:07:00 CEST , Anonimo ha detto...
Buonasera,i miei commenti,ultimamente,sono più rari per svariati motivi.Sto riflettendo molto sulla situazione del Nostro Paese.Analizzo i comportamenti delle forze politiche appartenenti alla nostra area di riferimento per effettuare la scelta più appropriata per le prossime elezioni europee.Comunque ti seguo sempre con assiduità.Mauro.
Alle giovedì 23 aprile 2009 alle ore 20:31:00 CEST , nomadus ha detto...
Carissimo MAURO, avevo notato un certo "rallentamento" nelle tue presenze e nei tuoi commenti ed avevo intuito che oltre ad incombenze lavorative e di famiglia poteva starci un momento di pausa e di riflessione. Le elezioni si avvicinano. Spero tu possa fare la scelta giusta. Un abbraccio.
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