la politica estera del cavaliere
La prima grana per il nuovo governo Berlusconi è venuta dall'esternazione (come al solito rozza) del neo ministro (da riformare, nel senso di rinchiudere) delle Riforme Umberto Bossi sui clandestini, sulla Libia e via discorrendo. Poi c'è sempre in agguato la posizione dell'altro neo ministro spacca-leggi (oltre che spaccamarroni) Roberto Calderoli che certo tanto tenero con gli immigrati non lo è mai stato. Da questi presupposti sia il cavaliere sia il ministro degli Esteri Franco Frattini avranno le loro belle gatte da pelare. Di questo (e di altro) ha già scritto stamani su la Repubblica, con la solita dotta eleganza editoriale, Eugenio Scalfari (http://www.repubblica.it/2008/05/sezioni/politica/nuovo-governo/nuova-democrazia/nuova-democrazia.html), ma il sottoscritto vuole sottoporre alla vostra attenzione di scaltri lettori un bell'articolo scritto per l'Unità da Luigi Bonanate intitolato "Dove andrà l'Italia di B.", dove ovviamente la B sta per Berlusconi (si dovesse pensare che sia Bossi...). Buona lettura. A nessuno dispiacerà che il nostro nuovo governo promuova e salvaguardi l’interesse nazionale. Neppure possiamo, in buona fede e lealmente, augurarci che venga a trovarsi subito in difficoltà. Ma avendo buona memoria non ci stupiamo neppure che una delle due dimensioni naturali della realtà di un Paese, la politica estera, sia trattata come un sottoprodotto delle vittorie di politica interna. Nanche a farlo apposta, in questi ultimi giorni il quadro internazionale ha gettato qualche fosca luce sul presente e il prossimo futuro. Purtroppo la crisi libanese sembra riassumere di colpo una centralità che speravamo assopita, e che coinvolge anche un importante contingente italiano (di cui alcuni rappresentanti delle forze di maggioranza già qualche settimana fa chiedevano il ritiro e semmai il ri-dispiegamento in Iraq). Il Mediterraneo, su cui il Libano si affaccia, è anche il mare della Libia e di quella specie di «vecchia gloria» di nome Gheddafi. Tutto il male e qualche volta anche il bene che di lui si può dire è stato detto; ci si è poi messo persino suo figlio, Saif El Islam. La sua affermazione che l'Italia non possa scegliersi i ministri da sola, è ovviamente inaccettabile, meglio: grottesca (anche se talvolta scapperebbe da dire: fosse vero!). Il punto riguarda semmai quale contributo la nostra politica estera possa dare alla politica internazionale oggi che essa rischia di trovarsi stupefacentemente ridotta, trascurata, sottovalutata. Così era stato, del resto, nei precedenti governi Berlusconi. Non è difficile prevedere che questi indizi siano premonitori. E poi è politica non soltanto quella degli eserciti e delle dichiarazioni ufficiali; lo è anche quella dell'immigrazione, una delle questioni più importanti della vita sociale italiana per non dire dell'intero Mediterraneo. Se dalla Libia ci dicono: non fermeremo più gli immigrati, è chiaro che un problema si pone e si colloca al centro di quella piccola bufera scatenata da Saif El Islam. Rischiamo di trovarci sotto lo schiaffo di due prepotenze: da una parte, quella di chi pretenderebbe di porre il veto su un nostro ministro; dall'altra, l'intenzione, più volte espressa, di stringere i cordoni dell'accoglienza esterna. Se non fosse che non è il momento per «sparare sulla Croce rossa», come non sorridere di fronte all'ultima trovata di Calderoli: resti in Italia soltanto chi ha un reddito sufficiente? Quanti immigrati presentano la dichiarazione dei redditi? E poi le pubblicheremo tutte sul sito del Ministero delle finanze? Saranno gli unici evasori perseguiti...Molti restarono delusi da Prodi, ma nessuno potrà togliergli il merito di aver cercato di normalizzare la vita politica italiana nelle sue varie dimensioni. In politica estera, poi, Prodi e D'Alema avevano ricondotto a una posizione europeisticamente maggioritaria la nostra presenza in Iraq; pur senza abbandonare l'Afghanistan, non vi avevano esibito alcun rambismo. Sull'altra sponda del Mediterraneo si erano intensificati i rapporti di amicizia con l'Egitto, paese-cerniera di tutti i flussi (buoni o cattivi) della realtà mediorientale; la presenza in Libano infine era vista dalla comunità internazionale come un contributo serio, consapevole e professionale. Senza incominciare subito a ritoccare le regole d'ingaggio dei nostri soldati, senza annullare subito i «caveat» che consentono a ciascun partecipante a una missione internazionale di limitare il livello di rischio: non c'è bisogno di far la voce grossa, bisogna fare le cose giuste, con equilibrio e conoscenza di causa. Nessuno può togliermi dalla testa che Calderoli non nutra un interesse spasmodico per la politica estera. In questo è del tutto diverso dal suo Premier, che invece dell'eclettismo fa il suo vessillo. Difende la compagnia di bandiera, l'Alitalia, come se fosse un presidio della sovranità statale; stabilisce che la criminalità è romena e gli italiani sono brava gente; ma come nasconderci che invece, per quanto riguarda la sua squadra del cuore, il cosmopolitismo si fa invece pantagruelico e pur avere tutti i migliori giocatori del mondo è persin disposto, forse, a far dei debiti? Non c'è né da scherzare, né da schernire: torna Berlusconi, ma non deve tornare lo sberleffo al Parlamento europeo. Se rappresenta l'interesse nazionale, deve chiedersi se tutti condividiamo le parole di amicizia e apprezzamento che rivolge a un leader, quello della nuova Russia, che cambia autoritariamente ruolo come noi ci cambieremmo il cappello. Ricevendo come primo ospite dopo la vittoria elettorale Vladimir Putin, Berlusconi ha ritenuto che la pubblica opinione italiana condivida la sua stessa ammirazione per la disinvolta manipolazione delle cariche istituzionali cui si dedica Putin (un suo burattino ieri faceva il Premier, oggi il Presidente e domani, se si sarà ben comportato, ritornerà a fare il Premier). Quale messaggio veicola l'amicizia con Putin? E quella con Bush? Sarkozy gli è simpatico e Zapatero no; non abbiamo ancora sentito Berlusconi esprimersi sui candidati alle elezioni presidenziali americane. Personalmente non ho difficoltà a immaginare quale sia il suo candidato preferito: certo né un nero né una donna...La posizione geografica può ispirare all'Italia una strategia di pace e collaborazione che altri Paesi anche più potenti, ricchi o autorevoli non possono svolgere alla stessa stregua. Per non fare che un esempio: la Francia, ex-potenza coloniale, e più lontana dal bacino mediterraneo, non vi ha oggi lo stesso credito dell'Italia. Ora, se è vero che nessuno di noi deve interferire con le decisioni che il governo legittimo di un paese democratico prende, ciò non toglie — anzi, la sua democraticità impone — che l'attenzione critica di tutti noi, elettori vincenti o sconfitti, si rivolga tutti i giorni non soltanto a controllare la maglietta della salute di Roberto Calderoli, ma se il nostro paese si adopera con onestà e moralità per favorire la pace nel mondo, mediando, discutendo, aiutando. Insomma, prendendo la politica estera sul serio come merita.
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