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venerdì 26 novembre 2010

i due mammasantissima


La puntata di ieri sera di Annozero (http://www.rai.tv/dl/RaiTV/programmi/media/ContentItem-b2559917-ff1f-4119-bf76-fa46c1fc76d3-annozero.html) ha riportato in auge, a mio modesto avviso, una dinamica politica, affaristica e mafiosa che volutamente si voleva sotterrare sotto una valanga di indifferenza e di sfacciato oblìo, i cui principali personaggi (stile Totò e Peppino, Gianni e Pinotto, Stanlio e Ollio, ma dai marcati connotati gangsteristici) sono realmente esistenti e si chiamano Silvio Berlusconi e Marcello Dell'Utri. Per l'appunto, i due mammasantissima. Qui parlano i fatti, circostanziati ed univoci, non certo le chiacchiere o le suggestioni. In base alle motivazioni della sentenza d'appello (http://www.ansa.it/documents/1290197739418_48caf299f6d2b2d969d9394e8ea81767.pdf), a carico di Marcello Dell'Utri, risulta provato, oserei dire certificato, che l'attuale premier di Palazzo Chigi ha incontrato il boss mafioso Stefano Bontate il 29 maggio del 1974 (grazie all'interessamento di Dell'Utri) per chiedere, a una delle più potenti organizzazioni criminali esistenti nel mondo, una sorta di garanzia, di protezione per sè, per la propria famiglia e anche per la propria attività imprenditoriale (in quell'epoca Berlusconi era un famelico costruttore). Il motto di Silvio era (almeno credo sia stato così) "LAVORO, GUADAGNO, PAGO" e quindi PRETENDO. Una sintassi quasi filosofica in salsa edile che lo portava a credere che, pagando Bontate, poteva assicurarsi una sostanziosa sicurezza. Vale a dire essere in grado di decidere, tramite un esborso sostanzioso di denaro, il modo in cui sarebbe stato trattato dalla mafia. Berlusconi avrà forse pensato, in quel tempo, che l'essere diventato un intoccabile (protetto da un pezzo da 90 come era Bontate) rappresentava per lui un privilegio, una sorta di manifestazione indotta della propria potenza, soprattutto di natura economica. Dalle carte processuali si viene a sapere anche che l'imprenditore Berlusconi, tra minacce e attentati intimidatori, continuò a pagare la protezione di Cosa Nostra (per stare tranquillo) perlomeno fino al 1992, versando 50 milioni di vecchie lire all'anno. Praticamente noccioline, per uno del suo calibro, abituato a tuffarsi, tipo Zio Paperone, nella vasca Jacuzzi piena di bigliettoni da 100 mila lire (all'epoca) e da 500 euro (attualmente), credendo che il dio denaro tutto possa comprare e tutto possa risolvere. Sbagliando. E di brutto pure. La cosiddetta protezione della Mafia non si compra. La cosiddetta protezione della Mafia (una volta ceduto alle sue lusinghe o alle sue minacce) la si subisce. Non è una scelta, è una costrizione. E questo lo sa benissimo chi paga il pizzo per non subire ritorsioni. Perchè pagare la Mafia per avere garanzie di protezione significa, prima di tutto, pagarla affinchè non faccia valere le sue pretese, la sua arroganza, al di là delle somme concordate. Significa dunque mettersi nella condizione (paradossale) di ritrovarsi a pagare di fatto la propria sottomissione alle pretese della Mafia stessa. In questo modo, l'esborso di denaro serve NON a comprare qualcosa, ma a sancire quel preciso atto di asservimento e ad attestare il fatto che, chi paga, riconosce automaticamente il potere dell'organizzazione criminale che sta pagando, ovvero il potere che l'organizzazione criminale ha su chi paga. Per questo motivo (ancor più paradossalmente) la Mafia, in fin dei conti, non ha mai mostrato grande considerazione per chi paga. Anzi, essa ne approfitta, semmai, per avanzare pretese sempre più grandi, sapendo di poterselo permettere. Le cose vanno così, purtroppo, quando di mezzo c'è la Mafia e forse ce se ne accorge quando ormai è troppo tardi. Quando si prova a pretendere, ad esempio, di non pagare o di non corrispondere quel che non è affatto dovuto, nè in denaro nè in qualcos'altro. Ma questo discorso non può valere di certo (e, ripeto, le carte processuali lo testimoniano) quando i personaggi si chiamano Berlusconi e Dell'Utri, i due mammasantissima del ventunesimo secolo.

domenica 21 novembre 2010

le macerie di una democrazia (e non solo dell'Aquila)


Quando ieri ho letto un flash d'agenzia, dove il nome di Letta veniva accostato a una dichiarazione in favore dei terremotati (a vita) dell'Aquila, ho avuto una sorta di singulto cerebrale, una specie di aritmia del pensiero e mi sono detto: vuoi vedere che anche il Consigliori del nano di Arcore si è rotto le scatole di fare da perenne stampella a quella specie di topo di fogna che alberga in quel di Palazzo Grazioli? Mannaggia la pupazza, mi son dovuto ricredere. La notizia era che a rilasciare quella affermazione ci aveva pensato il nipote del Consigliori, Enrico Letta, noto comunista mangiatore di bambini e proprietario di cavalli che si abbeverano alla fontana di piazza San Pietro e, caso più unico che raro, il flash d'agenzia era stato ripreso da uno dei giornali più antiberlusconiani per antonomasia (http://www.libero-news.it/articolo.jsp?id=536036), diretto da un famigerato bolscevico nonchè ex agente del KGB, proprio quel Maurizio Belpietro sfuggito di recente alla cattura dei khmer rossi della bassa bresciana, leggermente incazzati perchè Belpietro aveva licenziato (senza giusta causa) uno di loro, rappresentante molto ascoltato nel comitato di redazione. Tornando alla dura realtà, ieri la manifestazione a L'Aquila del popolo delle carriole (http://www.ilcapoluogo.com/site/News/Attualita/L-anno-zero-delle-macerie-33651) ha di fatto riacceso i riflettori (pochi per la verità) sulla scandalosa situazione del post terremoto. A diciannove mesi dalla tragica notte del 6 aprile 2009, tutto sembra essersi cristallizzato indecorosamente, come dopo la colata del Vesuvio su Pompei. Le macerie sono ancora tutte lì, a testimoniare l'abbandono di uno Stato (o meglio di una parte di esso, indegnamente rappresentato da Berlusconi e dai suoi accoliti) che ha soltanto promesso e rimandato, assicurato e negato, garantito e smentito tutto e il contrario di tutto, lasciando a bocca asciutta e con la rabbia in corpo migliaia di aquilani ancora sodomizzati da quell'infinito serpente di menzogne e di raggiri, sapientemente costruito dal governo berlusconiano. E proprio come le macerie del capoluogo abruzzese, anche le macerie dell'Italia democratica sono sempre lì, di fronte a Palazzo Chigi, a dimostrare l'incuria e la sprezzante indifferenza del governo nei confronti di tutti quei cittadini (non soltanto aquilani) che, pur non essendo terremotati fisicamente, lo sono nell'animo e nella mente, nella dignità e nella capacità di andare avanti, di sperare ancora in un futuro che li possa far uscire da un incubo che dura ormai da tre lustri. Si cercano urgentemente volontari e gente perbene disposti a rimuovere queste macerie (da L'Aquila e da Palazzo Chigi); cittadini che si facciano carico della possibilità di cambiare il volto delle città interessate dal disastro (L'Aquila e Roma) e di conseguenza di ridare decoro e dignità esistenziale all'Italia, duramente segnata e violata fin nelle sue radici democratiche da una banda criminale che al confronto quelli della Magliana sembravano giovani lupetti, ovvero la miglior forma dello scautismo nazionale. Il che è tutto dire.

sabato 13 novembre 2010

Nicole Minetti, la migliore Silvio's oral expert


Forse non avrebbe voluto che si parlasse di lei solo come igienista dentale di Silvio Berlusconi. Forse le sarebbe piaciuto essere ricordata come quella che sculettava dagli schermi targati Mediaset (in Colorado Cafè) e da quelli targati mamma RAI (senza nessuna malizia, secondo canale e la trasmissione era Scorie). Forse. Ma alla fine, volente o meno, la super carrozzata Nicole Minetti sarà ricordata per il caso Ruby, e non mi pare una gran bella cosa. La bella ortodontista romagnola, fasciata con sexy calze parigine, minigonne da urlo e tacco 12 d'ordinanza, ha fatto breccia nel cuore del cavaliere durante la di lui degenza al San Raffaele di Don Verzè, dopo la famosa statuetta in faccia lanciata da Tartaglia a piazza Duomo nel dicembre scorso. Tra un controllo di un molare e di un canino, tra una pulizia con filo interdentale (lo stesso che usa la Minetti per la sua biancheria intima, molto apprezzata dal capo) e una otturazione, si spera solo a carattere odontoiatrico, la fatal scintilla scoccò tra i due piccioncini. A tal punto da convincere il Pifferaio di Arcore a presentare, nella lista di Formigoni, la neo igienista dal sangue caliente, per farla eleggere tra i consiglieri della regione più ricca d'Italia, la Lombardia per l'appunto. Nicole non aveva nè arte nè parte, e non aveva nemmeno il becco di un quattrino. Proprio per questo il cavaliere, nella sua smisurata e infinita magnanimità, decise di aiutarla, trovandole un bel posticino ben remunerato. Permettendole, così, di non dover più sculettare (perlomeno davanti alle telecamere) per raggranellare qualche centinaio d'euro. Niente da obiettare: la ragazza ha stile, abbigliamento e fattezze tipiche tali da rientrare nelle preferenze del Satiro di Arcore. A ben vedere la Minetti è una via di mezzo tra la mancata velina e l'aspirante topolona ed è sicuramente molto gnocca ma in pratica nullafacente, se si vogliono escludere le pratiche orali a favore del premier e gli interventi stile Caritas dopo la mezzanotte in zona Fatebenefratelli, dove ha sede la Questura di Milano. Alla fine, che dire? Se qualche altra Silvio's oral expert volesse proporsi per la bisogna, non ha che da chiedere alla Nicole telefono e indirizzo elettronico del premier. Quanto al filo interdentale (da indossare obbligatoriamente in abbinata alle autoreggenti) nessuna paura: viene dato in omaggio incluso nel kit della specialista orale. Le iscrizioni sono aperte. E le gambe possibilmente pure.

martedì 9 novembre 2010

il tallone d'Achille del cavaliere


Finalmente ci sono i presupposti per individuare il vero lato debole della granitica convinzione berlusconiana di poter sempre e comunque restare in sella e governare il nostro Paese. L'ho intuito oggi seguendo le sue contestate apparizioni nelle zone alluvionate e anche nella sua visita lampo a L'Aquila. Ecco il punto: al Pifferaio di Arcore dà enormemente fastidio sentire il popolo (o almeno quello che crede sia il suo popolo) che lo fischia e lo insulta, che gli dà del mafioso e che lo spernacchia, invitandolo a tornarsene a casa e a dimettersi. Per Berlusconi queste contestazioni sono come il sale gettato sulla ferita o come l'aceto passato sulle labbra di chi sta morendo di sete. Una cosa insopportabile, insostenibile, parossistica. Lui che ha sempre fatto dell'acclamazione, totale ed incondizionata da parte di chi lo sostiene, una sorta di invincibile cavallo di battaglia, lui che ha sistematicamente cercato e caldeggiato la partecipazione continua e deferente della sua corte (sia essa formata da nani e ballerine, affaristi e zoccole, mafiosi e marocchine), per sentirsi infinitamente amato e rispettato, adesso proprio lui si accorge dell'esistenza di quella gente del Nord Est che gli volta le spalle, che lo dileggia e lo contesta così rumorosamente da fargli decidere di uscire mestamente da una porta secondaria piuttosto che trionfante da quella principale per raccogliere ovazioni e applausi da spellarsi le mani. Ecco, cari lettori, abbiamo trovato il rimedio ai nostri comuni mali del terzo millennio: per liberarci dal berlusconismo (e di tutto ciò che vi ruota maledettamente intorno) non c'è bisogno di officiare convention o di lanciare in aria mozioni di sfiducia manco fossero monetine. Basta, a mio modesto avviso, soltanto seguire l'esempio di quelle persone che oggi, a Vicenza come a a Padova (http://video.corriere.it/urla-insulti-contro-premier/ab44ebe4-ebfe-11df-8ec2-00144f02aabc), a L'Aquila come a Milano, hanno fatto sentire, alle sproporzionate orecchie del premier, tutta la loro contestazione legittima e rinnovabile, come una sorta di energia positiva da riverberare all'infinito a tutti quegli italiani che (come chi vi scrive) non ne possono più, ma proprio più di Silvio Berlusconi e che non vedono l'ora di risvegliarsi al più presto in un Paese più libero, più bello, più democraticamente ed economicamente progredito. In parole povere, in un'altra Italia. Non ci vuole poi tanto. Basta un fischio. Moltiplicato all'infinito.

domenica 7 novembre 2010

chissà se Fini avrà coraggio...


Nel limaccioso e poco limpido scenario della politica italiana non sempre si riescono a scorgere protagonisti (veri o presunti) che, all'atto pratico, riescono a trasformare in fatti concreti le molteplici e a volte stucchevoli parole di buoni propositi e di veraci intenzionalità. Non tutti hanno il necessario coraggio per mettere in campo la propria autorevolezza e il proprio peso politico e morale per prendere le dovute e improcrastinabili decisioni. Ai tempi della Prima Repubblica (ammesso e non concesso che ci troviamo nella Seconda) era in voga il più sfrenato politichese, ad uso e consumo dei baroni dell'arte della NON comunicazione, ovvero di quella particolare facoltà di parlare al popolo senza farsi (volutamente) capire e nel contempo di mandare messaggi più o meno trasversali a fiancheggiatori e ad avversari della scena politica. Termini tanto cari ai vari Andreotti, Moro, Rumor, Gava, De Mita e quanti altri, come ad esempio "convergenze parallele" o "compromesso storico", ancora oggi (debitamente ed opportunamente trasformati) allignano negli animi e nelle proposizioni mentali dei maggiori leader di casa nostra. Partendo da questo mio incipit, forse un pò troppo arzigogolato, volevo mettere in evidenza la mia particolare attesa per l'odierno discorso che tra poche ore pronuncerà Gianfranco Fini a conclusione della convention di Futuro e Libertà in corso a Bastia Umbra. Ieri ho seguito tramite la diretta di SKYTG24 il suo breve discorso d'apertura che aveva un non so che di avvisaglia per le truppe berlusconiane che oggi ci sarà qualcosa di fragoroso; ho apprezzato anche l'accalorato intervento di Italo Bocchino nonchè la perfetta interpretazione (da impeccabile uomo di spettacolo) di Luca Barbareschi nel leggere il Manifesto per l'Italia, con il sontuoso sottofondo delle musiche di Ennio Morricone prese in prestito dal film "C'era una volta in America". Insomma, a ben vedere, l'atmosfera che aleggiava ieri alla convention di Futuro e Libertà per l'Italia era quella tipica del giorno antecedente l'evento in pompa magna, la fibrillazione ideale prima dell'avvenimento clou, l'anteprima scoppiettante del piatto forte del giorno dopo. Adesso sta a Gianfranco Fini non smentire le premesse, non tradire le attese, non frustrare le prospettive di reale cambiamento che una parte d'Italia chiede volutamente e sinceramente. Anche il sottoscritto fa parte (paradosso dei paradossi) di questa frangia italiana in procinto di catapultarsi in una nuova era della stagione politica nazionale, quella del post berlusconismo. Tutti gli occhi, almeno di quegli italiani che si riconoscono in quest'attesa, sono puntati sul presidente della Camera e tutte le orecchie saranno drizzate e pronte a captare l'evento. Spero solo che Gianfranco non faccia, mutuando un paragone calcistico, come quell'attaccante che, solo davanti alla porta sguarnita, cincischia con il pallone tra i piedi permettendo il prodigioso recupero, in tackle scivolato, da parte del difensore centrale berlusconiano. Spero proprio che ciò non accada. Altrimenti, addio partita.

mercoledì 3 novembre 2010

uno sporcaccione che piace (agli italiani come lui)


Non posso esimermi da qualche altra considerazione sull'argomento del giorno, della settimana, probabilmente dell'anno. Vale a dire sulle zozzerie compiute, con una frequenza che ha dell'incredibile, dal presidente del Consiglio del nostro Paese. Parto da una considerazione personale: a mio avviso Berlusconi ha tutte le caratteristiche (fisiche, morali, caratteriali e altro ancora) sintomatiche del classico vecchio sporcaccione che trovavamo nei bar di una volta. Una sorta di decrepito avanzo del maschio vissuto prima dell'avvento del femminismo; un maschio (se così vogliamo chiamarlo) che, con il potere dei soldi, costringe quelle donne scevre da ribrezzo e con lo stomaco forte, a sottostare a ripugnanti orge che generano (credo) schifo, sdegno e raccapriccio in tutte quelle persone normalmente dotate di sensibilità e di buona creanza. Ma non lo generano di certo in tutti gli emuli (gonfi di invidia) del trapanatore di Arcore. Il punto, purtroppo, è proprio questo. Paradossalmente, l'impatto simbolico di questa triste e squallida vicenda di sesso, droga e bunga bunga è inversamente proporzionale alla consuetudine di una regola non scritta ma di ragionevole applicazione. Quella cioè che, in un Paese democratico e adulto e sessualmente civilizzato, un uomo evidentemente fuori controllo (com'è in questo momento il premier) riscuote ammirazione e seguito da quella fetta (deteriorata) del Paese medesimo. Questo perchè, a mio modo di vedere, decenni di tv spazzatura, di reality e di macelleria pornografica (a base di sesso e omofobia) hanno sedimentato qualcosa di marcio e di pericoloso nei cervelli (e negli animi) degli uomini e delle donne alle quali sciaguratamente così a lungo la tv ha parlato. Sono tanti i giovani che si propongono ogni qualvolta parte una chiamata per partecipare a un programma spazzatura o che si appassionano nel seguire quegli squallidi format pomeridiani che mettono in scena il mercato dei sentimenti e della guerra tra i sessi. Mancano (a livello sociale, istituzionale e familiare) dei punti di riferimento forti per quello che riguarda l'universo adulto maschile ed è quindi abbastanza ovvio che l'unico simbolo assoluto e ipertrofico che emerge sia quello di un uomo potente che in modo indisturbato abusa del suo status e che si auto-assolve in nome della sua granitica e sfacciata protervia. Forse è anche figlio stabile di un patriarcato che è risultato immune ai processi di cambiamento della storia di questo nostro Paese. Se le mie informazioni e se i miei studi non sono stati defraudati da eventi sconosciuti, posso forse avere l'ardire di affermare che in Italia, talvolta anche in conflitto con altri soggetti che lottavano per la giustizia e l'equità, sono state le donne dei movimenti di liberazione a offrire strumenti culturali e pratiche politiche finalizzate al cambiamento della storia, del costume e delle leggi non solo a loro favore. E tutto questo, oggi, va a cozzare malinconicamente sulla situazione determinata dalla violenza delle parole di un solo uomo (Berlusconi) che diffonde odio, disprezzo e malevolenza nei confronti degli omosessuali, che paga minorenni e maggiorenni per confermare la propria sessualità (che poi è un impianto idraulico costato 20 mila euro) e per fuggire il suo evidente terrore della vecchiaia e della morte. Che comunque, prima o poi, gli presenterà l'inevitabile e non procrastinabile conto finale.

lunedì 1 novembre 2010

una lettera da far diventare un manifesto


Quella che vi sto per far leggere, cari frequentatori del mio blog, è una lettera scritta da Marina Terragni (giornalista e scrittrice, nella foto in alto) al presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, ripresa da molti blogger e da alcuni organi di stampa on line e che merita la maggior diffusione possibile, perchè fa riflettere e perchè è da condividere parola per parola, virgola per virgola, punto per punto. Immagino che gli sciacalli prezzolati e sudici che gironzolano affamati intorno al Pifferaio di Arcore non abbiano la benchè minima intenzione di fargliela leggere, anche perchè ci sarebbe il pericolo di un risveglio di coscienza da parte del vecchio satrapo e la conseguenza (per gli sciacalli prezzolati) sarebbe quella del TUTTI A CASA. In fondo al mio cuore alberga attualmente la legittima speranza che il premier si comporti da vecchio responsabile e ravveduto, proprio come se lo augura l'autrice della lettera che vi prego di scorrere con la massima attenzione, miei cari frequentatori di questo blog.
Signor Presidente del Consiglio, sono abbastanza vecchia da non poter più aspirare a essere selezionata per i suoi party a Villa San Martino, ma anche abbastanza giovane da poter essere sua figlia (per bontà divina non lo sono). Quelle ragazze sono mie figlie, e Lei è il loro nonno. Lei dice di aver diritto a godersi la vita, ma anche quelle ragazze hanno diritto a godersela. Se sua figlia o sua nipote, per godersi la vita, per trovare un posto nel mondo, o per legittima per quanto malriposta ambizione, dovessero danzare e spogliarsi per un vecchio quale Lei è, o perfino accomodarsi tra le sue braccia, Lei di sicuro ne soffrirebbe molto. Che queste ragazze siano minorenni o maggiorenni è un fatto che riguarda la legge. Ma anche se avessero 25 anni rimarrebbe aperta una seria questione di coscienza. Signor Presidente del Consiglio, attualmente Lei gode ancora del consenso della maggioranza degli italiani, ma questo non la dispensa dalla più elementare legge morale, che è quella di non fare del male a chi è indifeso, e di non approfittare di chi si trova in una situazione di bisogno. Se quelle ragazze vengono ai suoi party, signor Presidente, non è perchè la trovino attraente, ma solo perchè sperano di ricavarne qualche vantaggio. Per qualunque donna giovane e feconda, non si faccia illusioni, il contatto con un uomo vecchio è ripugnante. Senza eccezioni. Lei compreso. Questo può essere molto doloroso per un uomo che provi ancora il desiderio di una donna, contravveleno alla paura della morte che si avvicina. A quanto ci viene raccontato da molta letteratura, da vecchi il desiderio può essere ancora lancinante, e perfino disperato. Ma vi è la possibilità che il dispositivo della coscienza sia più forte, che il desiderio venga sublimato, che l'istinto di proteggere chi è più piccolo, come quelle quasi-bambine, abbia la meglio. Su questa possibilità e su questa speranza basiamo gran parte del patto umano. Ci sono anche i ragazzi, non solo le ragazze, a cui da molti anni, praticamente da quando sono al mondo, Lei offre un modello di relazione tra uomini e donne basato sullo scambio sesso-potere-denaro. I suoi figli e i suoi nipoti, che la osservano, si sentono certamente mortificati dal suo lassismo. Signor Presidente, molti osservatori concordano sul fatto che il tempo del suo premierato è in scadenza, che siamo agli ultimi giorni di Pompei, e si sa che un impero alla sua fine esprime quasi sempre un collaterale degrado morale. Ma senza voler parlare di politica, stando all'essenziale della sua e anche della mia umanità, l'auspicio, signor Presidente, è che in uscita Lei accetti i limiti e le responsabilità connessi alla sua età veneranda, che trovi la forza morale per esprimere qualche ravvedimento, per restituire in extremis alle giovani generazioni quello che, insieme a ben altro (la possibilità di un lavoro, di una casa, di una vita), è stato loro tolto: la fiducia nell'amore vero, costruito nel rispetto e nella dignità, e nella possibilità di costruire insieme, uomini e donne, quel poco di serenità in cui ci viene dato di sperare nella vita. Si lasci aiutare a farlo, se da solo non ci riesce. Detto come da una figlia a un padre in gravi difficoltà, e provando una profonda compassione, per Lei e per tutti.
Mi permetto di aggiungere alla ineccepibile lettera di Marina Terragni una semplice riflessione del tutto personale. Credo che se fosse ancora in vita l'adorata mamma di Silvio Berlusconi, la signora Rosa Bossi, le stesse frasi e le stesse considerazioni fatte dalla Terragni sarebbero state dette dalla signora Rosa al figliolo e che questi non avrebbe esitato un momento a chinare il capo e a dimettersi dal ruolo di capo del governo, abbandonando immediatamente la scena politica e ritirandosi a vita privata. Magari in un bel convento. Assolutamente senza novizie.