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giovedì 30 settembre 2010

parole come pietre (da Di Pietro)


Si può essere simpatizzanti (o meno) dell'onorevole Antonio Di Pietro, si possono condividere (o meno) alcune delle battaglie in nome della legalità fatte proprie dal leader dell'Italia dei Valori, si potrà anche storcere il naso sul personaggio Di Pietro, ma di certo non si può non riconoscere al politico (ed ex magistrato) molisano la tenacia e la coerenza nell'attaccare sempre e comunque il suo acerrimo nemico (personale e politico) che ieri si è presentato, quasi in chiave dorotea simil CAF, davanti al Parlamento per le attese dichiarazioni sui famosi 5 punti programmatici, che alla fine hanno determinato una sorta di proroga dell'agonia dell'attuale maggioranza di governo. Ho seguito, attraverso la diretta di SKYTG24, le dichiarazioni di voto dei vari rappresentanti politici (ottima e incisiva quella di Bersani) che si sono alternati in Aula prima della votazione sulla fiducia. Debbo dire che quella di Di Pietro (almeno a mio parere) è stata la più significativa e dolorosa per il Pifferaio di Arcore: una sorta di florilegio certosino di tutte le malefatte (politiche e non) dell'uomo che ha sodomizzato l'Italia e gli italiani senza provocare eccessivo dolore (almeno stante il referto politico di questi sedici anni di berlusconismo). Vi ripropongo per intero il discorso di Tonino e vi invito a leggerlo al netto delle forzature sintattiche e grammaticali e delle parole forti usate. Vi accorgerete che il senso del discorso rispecchia la stragrande convinzione degli italiani onesti e non berlusconizzati. Ovvero che dobbiamo liberarci al più presto di quest'uomo (intendo Berlusconi non Di Pietro, ovviamente), se vogliamo davvero restituire a noi stessi quell'Italia che ci piaceva e che vogliamo continuare a farci piacere, quell'Italia legittima e naturale espressione della democrazia e del diritto, non certo quella dei soprusi e dell'illegalità marchiata a fuoco dal sodomizzatore di Arcore. Spero, riproponendo il testo integrale del discorso di Di Pietro, di fare cosa gradita ai lettori di questo blog. Buona lettura.

Sig. presidente del Consiglio,
Lei è uno spregiudicato illusionista, anzi un pregiudicato illusionista che, anche oggi, ha raccontato un sacco di frottole agli italiani, descrivendo un’Italia che non c’è e proponendo azioni del Governo del tutto inesistenti e lontane dalla realtà. Fuori da qui c’è un Paese reale che sta morendo di fame, di legalità e di democrazia e Lei è venuto qui in Parlamento a suonarci l’arpa della felicità come fece il suo predecessore Nerone mentre Roma bruciava.
Quella stessa Roma che anche oggi i barbari padani vogliono mandare al rogo, insieme alla bandiera e all’Unità d’Italia. Sono sedici anni che racconta le stesse frottole, ma le uniche cose che ha saputo fare finora sono una miriade di leggi e provvedimenti per risolvere i suoi guai giudiziari o per sistemare i suoi affari personali.
Al massimo, ha pensato a qualche altro suo amico della cricca, assicurando a lui prebende illecite e impunità parlamentari, proprio come prevede il vangelo della P2, Cosentino, Dell’Utri e compagnia bella docet!
Anzi, no! Un’altra cosa lei è stato ed è bravissimo a fare, e lo ha dimostrato ancora una volta in questi giorni: comprare il consenso dei suoi alleati ed anche dei suoi avversari. I primi pagandoli letteralmente con moneta sonante, con incarichi istituzionali, con candidature e ricandidature di favore; i secondi ricattandoli con sistematiche azioni di dossieraggio e di killeraggio politico di cui lei è maestro. Sì, perché Lei, sig. Berlusconi è un vero “maestro”: intendo dire un maestro della massoneria deviata, un piduista di primo e lungo corso, un precursore della collusione e della corruzione di Stato. Anzi di più. Lei è l’inventore di una forma di corruzione di nuovo conio, più moderna e progredita: cambiare le leggi in modo da non far risultare più reato quel che prima lo era e in modo da non rendere più punibili coloro che prima potevano essere condannati. Questa mattina, Lei si è gonfiato il petto ricordando un nobile principio liberale: “Ad ognuno deve essere consentito fare tutto tranne ciò che è vietato”. Certo, ma chi, in Europa, ha scritto con il proprio sangue questo tassello di democrazia liberale non pensava affatto che un giorno si sarebbe trovato davanti ad un signorotto locale che avrebbe dichiarato “non vietato” tutto ciò che gli pareva e piaceva a lui e che non era la legge a governare il sistema ma doveva essere Lui a governare la legge. Lei, sig. Berlusconi, non è un presidente del Consiglio ma è uno “stupratore della democrazia” che, dopo lo stupro, si è fatto una legge, anzi una ventina di leggi ad personam per non rispondere di stupro!
Lei non è, come alcuni l’hanno definito, uno dei tanti tentacoli della piovra.
Lei è la testa della piovra politica che in questi ultimi vent’anni si è appropriata delle istituzioni in modo antidemocratico e criminale per piegarle agli interessi personali suoi e dei suoi complici della setta massonica deviata di cui fa parte. Lei, oggi, ci ha parlato della volontà del Governo di implementare la lotta alla corruzione, all’evasione fiscale, alla criminalità economica delle cricche. E che fa si arresta da solo? O ha deciso di prendersi a schiaffi tutte le mattine appena si alza e si guarda allo specchio?
Lei si è impossessato e controlla il sistema bancario e finanziario del Paese. Lei controlla le nomine degli organi di controllo che dovrebbero controllare il suo operato. Lei fa il ministro dello Sviluppo Economico e, come tale, prende decisioni a favore del maggior imprenditore italiano, cioè Lei (e dico maggior imprenditore, non migliore come maggiore e non migliore è l’imprenditoria mafiosa). A Lei non interessa nulla del bene comune perché si è messo a fare politica solo per sfuggire alla giustizia per i misfatti che ha commesso. Non lo dico solo io. Lo ha detto pure il direttore generale delle sue aziende, Fedele Confalonieri, ammettendo pubblicamente che “se Berlusconi non fosse entrato in politica noi oggi saremmo sotto un ponte o in galera”. Lei si è impossessato dell’informazione pubblica e privata e la manipola in modo scientifico e criminale. Un esempio? La casa di Montecarlo venduta da Alleanza nazionale. Lei e i suoi amici dell’informazione avete fatto finta di scandalizzarvi nell’apprendere che, dietro quella compravendita, c’è una società off-shore situata in un paradiso fiscale.
Ma si guardi allo specchio, imputato Berlusconi: Lei di società off-shore ne ha fatte ben 64 proprio per nascondere i proventi dei suoi reati societari e fiscali e per pagare tangenti ai politici e ai magistrati e lo ha fatto ricorrendo a quell’avvocato inglese David Mills, condannato per essere stato, a sua volta, da lei corrotto per mentire ai giudici e così permetterle di ottenere un’assoluzione comprata a suon di bigliettoni.
Già! Perché la magistratura che Lei ha corrotto: quella a Lei piace.
Invece, non le piace quella che vuole giudicarla per i suoi misfatti, tanto è vero che ora, al primo punto del suo ”vero programma”, quello di cui oggi non ha parlato, c’è la reiterazione del Lodo Alfano, cioè proprio di quella legge che deve assicurarle l’impunità per un reato gravissimo che lei ha commesso: la corruzione di giudici e testimoni.
Solo per questo fatto, Lei non meriterebbe un minuto in più di rappresentare il Governo italiano e se ancora riesce a starci è solo perché compra i voti ricattando quei parlamentari che si rassegnano a vivere vigliaccamente senza onore o senza coraggio!
Questo è il ritratto che noi dell’Italia dei Valori abbiamo di Lei, sig. Berlusconi!
E Lei, oggi, viene a chiederci la fiducia?
Lo chieda, ma non a noi.
Lo chieda a quelli che ha comprato o ricattato.
Lo chieda ai parlamentari di Futuro e Libertà che finalmente si sono resi conto con chi avevano e hanno a che fare ma non trovano, o non hanno ancora trovato, il coraggio di dissociarsi dal macigno immorale che Lei rappresenta.
Lo chieda al presidente Fini che nel suo discorso estivo a Mirabello ha detto esattamente (ed anzi di più) delle cose che sto dicendo io e ancora indugia a staccare la spina, passando, suo malgrado, da vittima a complice delle sue malefatte!
Lo chieda a tutta quella pletora di disperati che in questi giorni ha convocato a casa sua per offrire loro prebende o per minacciare imbarazzanti rivelazioni e che ora , abbagliati da improvvisa ricchezza o intimoriti dai dossieraggi che Lei ha architettato e commissionato, hanno deciso di vendere la loro anima e il loro onore dandole una fiducia che non merita!
Non lo chieda a noi che siamo stati primi a smascherare le sue reali e criminali intenzioni.

lunedì 27 settembre 2010

trattamento sanitario obbligatorio per Umberto Bossi


L'ultima follia di un folle certificato è quella odierna. Il leader semiparalizzato e biascicante della Lega Nord ne ha detta un'altra delle sue (http://it.reuters.com/article/topNews/idITMIE68Q0IF20100927), tipica espressione di un suino in camicia verde: dà del porco al popolo romano dopo aver ribattezzato, agli albori della sua ascesa in Padania, Roma ladrona e dopo aver fatto calare verso la Città Eterna una mandria puzzolente e ingovernabile formata da beceri leghisti e da squallidi papponi della politica che con una mano prendono e con l'altra pure. Inutile sostenere la seminfermità del Senatùr, qui è necessario una petizione popolare per trasferire immediatamente al più vicino (e attrezzato) centro d'igiene mentale il bauscia di Cassano Magnago. Francamente ci siamo rotti le palle di sopportare un demente del genere che, tra parentesi, rappresenta perfino le istituzioni repubblicane (grazie a quell'altro psicopatico erotomane di Arcore che se lo tiene al fianco sempre e comunque) con un ministero, quello delle Riforme, che a mio giudizio dovrebbe per legge riformargli il cervello, ove possibile. Insomma, liberiamoci di Bossi e facciamolo in base alla legge 180 del 1978, quella che prevede il trattamento sanitario obbligatorio quando il soggetto (in base a legittime valutazioni di gravità clinica e di urgenza) è affetto da un'acclarata malattia mentale. E quella odierna è l'ultima e più efficace sintomatologia riferibile a quell'invalido cerebrale che risponde (quando può...) al nome di Umberto Bossi.

sabato 18 settembre 2010

la speranza di un futuro (politico) migliore


A volte rimango francamente spiazzato e sorpreso dalle tante evoluzioni pseudo-politiche che taluni personaggi di indubbia qualità (perlomeno morale e personale) attuano nel variegato mondo della scena pubblica nazionale. Non mi riferisco ai tanti cambiamenti di bandiera (e di comportamento) di qualche comprimario del palcoscenico politico e non voglio nemmeno commentare inaspettate sortite (di ex segretari di partito) dal dubbio risultato finale. Ho soltanto voglia, in questo plumbeo sabato di settembre, di articolare un mio pensiero su quello che dovrebbe fare il centrosinistra per affrancarsi definitivamente dal gelatinoso sistema di potere berlusconiano e per ridare fiducia a questo nostro Paese che, mai come oggi, sta conoscendo il periodo più critico e deprimente della sua storia almeno dal punto di vista sociale ed economico, oltre che politico. Non posso sapere quando e se la crisi di governo verrà formalizzata (attendo con curiosità le mosse dei finiani il giorno del discorso di Berlusconi in Parlamento, il prossimo 28 settembre); posso però evidenziare, e spero di non sbagliarmi, che oggi noi non ci troviamo di fronte a una semplice e normale crisi istituzionale e politica, ma siamo al capolinea di una lunga e sconfortante stagione storica, quella caratterizzata dal malaugurato avvento del Pifferaio di Arcore sulla scena politica nazionale. Un avvento che, debbo proprio dirlo, è stato preceduto e favorito da una ristrutturazione politica-economica, e persino culturale, dal marcato segno nordista (per non dire leghista) che ha preso avvio dalla crisi del 1992 (l'era di Tangentopoli e dei mariuoli), in base a quella malsana idea che, per curare i mali italiani, occorresse meno politica, meno Stato, meno democrazia e più decisionismo. Nasce da qui il paradosso di una stagione politica (quella denominata Seconda Repubblica) che si è affermata in nome del cambiamento ma che nella realtà dei fatti ha cambiato ben poco. Anche perchè mancavano quegli strumenti tipici di ogni eventuale azione riformatrice, quali ad esempio il ruolo dello Stato (dipinto come assistenzialismo), l'intervento pubblico in economia (bollato come statalismo) e la stessa mediazione politica (demonizzata come consociativismo). Ovviamente in base a queste tesi ha vinto un'ideologia che ha assunto, soprattutto in politica, il dogma dell'efficienza del privato in contrapposizione alla presunta inefficienza e corruzione del pubblico, dando la possibilità allo spirito nordista di prendere il sopravvento e di farla da padrone su tutto e su tutti. E questo anche grazie all'interessata complicità di Berlusconi. Infatti il berlusconismo ha abbracciato senza remore la Lega di Bossi che, con le minacce di secessione e di rivolta fiscale, con l'evocazione della Padania e con la retorica antirisorgimentale, ha rappresentato soltanto la variante più radicale di quel grande processo di ristrutturazione iniziato nel 1992. L'attuale nostra grande sfida (dico nostra riferendomi a quegli uomini intellettualmente ancora non contaminati dal morbo berlusconiano o leghista) è quella di smontare pezzo per pezzo questa infame e spietata opera politico-culturale di natura secessionista, e nel contempo offrire al Paese una nuova e reale speranza su cui costruire radicate alleanze politiche e sociali. Una sfida che a mio giudizio potrà vincere solo una nuova classe dirigente del centrosinistra: nuova, perchè capace di parlare (ma soprattutto pensare) in modo nuovo. Una classe dirigente che abbandoni determinate categorie logore, figlie di un'ideologia liberista e antistatale, che tanti danni ha provocato; quella stessa ideologia che ci ha portati a questa ormai insopportabile personalizzazione della politica. Il centrosinistra dovrebbe prioritariamente preoccuparsi di parlare alla gente, di toccare le corde sensibili della vera democrazia e della reale equità sociale, della giusta integrazione e di una nuova politica del lavoro a salvaguardia delle future generazioni. Ma anche di quelle passate, di quelle che ormai non hanno più speranze nella vecchia nomenklatura dei vecchi babbioni ma che ancora sperano nel vento nuovo del riformismo, spinto dall'alito ancora incontaminato delle nuove leve della politica giovanile, dirette derivazioni dei blog e di internet. La speranza che qualcosa cambi è tuttora intatta. Cerchiamo (noi tutti) di non tradirla.

sabato 4 settembre 2010

la propaganda del Pifferaio di Arcore


A sentirlo parlare, sul sito ideato e gestito appositamente per quei poveri berluscodipendenti in overdose di banalità e di servilismo (http://www.promotoridellaliberta.it/index.php/manifesto-blog/316-titolo-titolo), viene quasi spontaneo accostare la figura del presidente del Consiglio a quella di un capobastone di una 'ndrina della Piana di Gioia Tauro o meglio ancora a quella di un vecchio padrino della Cupola siciliana. Lo spessore etico-criminale è fuori di dubbio, la capacità persuasiva del linguaggio (anche senza l'uso della lupara) ancor di più, le frequentazioni (passate e presenti) con gentiluomini in odor di mafia rappresentano il classico miglior biglietto da visita che un uomo d'onore può sperare di avere sempre a portata di mano. Eppure c'è ancora (incredibilmente e stoltamente) gente aggrappata, in maniera spasmodica e tenace, a questo ignobile capobastone della (invereconda) politica italiana. Chi per interesse, chi per vicinanza e correità, chi soltanto per raccogliere le molliche lasciate cadere dal padrino di Arcore, tutti lì proni e pronti a far quadrato attorno al gangster della Brianza ormai diventato romano d'adozione. E lui, naturalmente, pronto a spargere a piene mani promesse e posti vacanti, appalti milionari per gli amici degli amici e donnine ad uso e consumo (oltre che proprio, ma questa è un'ovvietà) degli arrapati e sudaticci loschi figuri di cui beatamente si circonda da quasi 40 anni. Adesso tenta l'ultima carta, quella della disperazione. Annusata l'aria da fogna, che lui stesso ha generato (e su questo Di Pietro ha perfettamente ragione), ascoltato il tintinnìo delle manette che lo attendono dietro l'angolo (che poi è l'anno prossimo, dopo che si pronuncerà la Consulta sul legittimo impedimento facendo di fatto ripartire i tre processi nei quali è imputato), il Pifferaio di Arcore cerca ancora una volta, con la sua voce flautata, di riportare quanti più topolini finiani dalla sua parte, facendo in modo di far ricadere le colpe della scissione solo e soltanto sulle spalle di Fini, l'unico acerrimo attuale nemico (Di Pietro è solo uno sbiadito e rancoroso ricordo). Già le ha tentate tutte: con le campagne infami dei suoi giornali grondanti melma puzzolente, con la propaganda tipica di chi agli insuccessi di questi due anni e mezzo di malgoverno sciorina al popolino le mistificazioni di epocali e straordinarie vittorie della sua politica del fare (gli affari suoi). Ma tutto questo, purtroppo per lui, senza cavare un ragno dal buco. Il Pifferaio di Arcore è ormai con le spalle al muro. La garrota della legalità e della giustizia si sta sempre più stringendo alla base del suo collo rendendogli il respiro sempre più affannoso e l'aria sempre più rarefatta. E lui si sta accorgendo che la fine è vicina. E come nella logica del Caimano cerca disperatamente l'ultimo colpo di coda. Prima che gliela taglino. Definitivamente.