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giovedì 26 agosto 2010

l'esperto di ammucchiate


Qui bisogna sgombrare immediatamente il campo da sottintesi e da equivoci. Se in Italia esiste una persona esperta (ma veramente esperta) di ammucchiate, di incontri multipli, di partecipazioni plurime su lettoni oversize, quella persona risponde al nome di Silvio Berlusconi. E' inutile che il segretario del Partito Democratico, l'onorevole Bersani, si sforzi di apparire quale fautore di improvvisate ammucchiate politiche attraverso la nobilissima (e in parte condivisibile) lettera a Repubblica (http://www.repubblica.it/politica/2010/08/26/news/lettera_bersani-6514997/?ref=HREA-1) paventando l'idea di unire più forze politiche con l'evidente (e nobilissimo) intento di far fuori il Caimano. Qui, purtroppo per Lei caro segretario, non c'è trippa per gatti. L'esclusiva delle ammucchiate è di pertinenza del presidente del Consiglio il quale, al contrario di Lei caro segretario, ha dato ampia facoltà di prova sulla specializzazione de quo. Lui sì che ha studiato a fondo l'argomento; lui sì che ha doviziosamente e costantemente espletato tutte le formalità necessarie per fregiarsi del titolo di Dottore specialista in ammucchiate certificato dalla pergamena rilasciata al termine del faticosissimo corso triennale. C'è pure tanto di foto ufficiale dell'ammucchiata finale che però Silvio non ha voluto dare in esclusiva ad Alfonso Signorini per una sorta di pudica riservatezza e per impedire che i soliti comunistacci brutti e cattivi (nonchè refrattari per antonomasia alle conoscenze carnali plurime) ne facciano il loro cavallo di battaglia per le prossime elezioni politiche. Il cavaliere ha parlato chiaro ai suoi discepoli: questi quattro sfigati della sinistra vorrebbero mettersi insieme per fregarmi ma non sanno che le vere ammucchiate le so fare solo io (per conferme dirette chiedere alle signore ministre e alle numerose parlamentari dal pedigree inconfutabile). Forse un'altra cosa che la sinistra non sa è che la materia prima (per l'appunto le signorine grandi forme in autoreggenti e tacco 12) non può che essere ad appannaggio del Trapanatore di Arcore, l'unico giudice supremo che ha diritto di scelta e di quantità sulle sue sexy ancelle (e a proposito di ciò ringrazio la mia nuova amica e collega PAOLA che mi ha fatto conoscere questo spassoso video dedicato al Berlusca, http://www.youtube.com/watch?v=K4SlldfWa1U) mentre loro, gli sfigati di sinistra, tutt'al più possono far di conto su una Rosy Bindi o al massimo su una Rosa Russo Jervolino, che magari presentate e inguainate in strizzati corpetti e calze nere con la riga dietro potrebbero pure fare la loro porca figura. Caro Bersani, mettiamoci una pietra sopra e lasciamo le ammucchiate a chi se ne intende, a chi le pratica con una certa assiduità, a chi insomma ha dato prova incontrovertibile di saperci fare (magari a volte anche pagando e non solo regalando farfalline...). Al limite si potrebbe pensare di strappare alla concorrenza una Carfagna o una Santanchè in vista di una possibile campagna acquisti per il prossimo master in ammucchiate, dando magari in cambio la comproprietà (o magari anche il prestito senza diritto di riscatto) di una Melandri, per esempio. Tante belle cose segretario.

giovedì 19 agosto 2010

sogno di (quasi) fine estate


Come si dice: sognare non costa nulla. E per di più è un esercizio della mente che ci permette di spaziare (senza vincoli e senza ritegno) con la fantasia e con la voglia di credere in qualcosa che magari (anzi sicuramente) non accadrà. Come ad esempio immaginare di poter vincere un jackpot da quasi 120 milioni di euro investendone solo uno o magari di vivere in un Paese chiamato Italia dove qualcuno riesce a governare senza rubare. O se lo fa (come accade qui da noi) allora non avrà niente da ridire se anche il sottoscritto sposerà integralmente l'idea lanciata da un gruppo di giovani (forse utopisti?) che chiedono una cosa molto semplice e molto giusta: l'applicazione della confisca dei beni a quei parlamentari riconosciuti colpevoli di un qualsivoglia reato il cui fine è l'arricchimento illecito. Ho scoperto per puro caso questo movimento giovanile denominato il Trifoglio (http://www.trifoglio.org/index2.html) guardando, in una afosa mattina di agosto, un tabellone pubblicitario dalle parti di piazzale Clodio a Roma, luogo per eccellenza deputato al dirimersi di controversie giudiziarie, financo quelle contaminate marginalmente dalla politica e dagli affari (più o meno leciti). Ho pensato bene di fotografare il manifesto e metterlo a corredo di questo mio odierno post, nella seppur velata speranza di poter amplificare la legittima speme di quei giovani miei concittadini, facendo conoscere a quelle poche centinaia di persone che leggono questo blog quanto distrattamente (o forse per nulla) trafelati pedoni e sfreccianti automobilisti non hanno visto in queste giornate di ferie agostane. Ho pensato che non era poi tanto malvagia l'idea di confiscare i beni illegittimamente accumulati da infedeli servitori dello Stato messi lì nemmeno tanto dalla volontà popolare (basti pensare a come è articolata l'attuale legge- porcata-elettorale) quanto da un solo individuo, per di più spregevole, che dell'accumulo incondizionato e quasi sempre illegale ha fatto il suo verbo e la sua ragione di vita (politica e non). E allora perchè non equiparare la legge che permette allo Stato di confiscare i beni ai mafiosi e alla criminalità organizzata ad una che faccia lo stesso con i politici corrotti (e corruttori)? Ben venga l'auspicio del Trifoglio di chiedere una legge di iniziativa popolare per assegnare alla collettività beni confiscati ai politici condannati per corruzione. E se iniziassimo magari con la casa di un ex ministro sita vicino al Colosseo? O meglio ancora se destinassimo ai bisognosi (che sono tanti) quei milioncini di euro risparmiati dal Pifferaio di Arcore nella disputa fisco-Mondadori (http://www.repubblica.it/politica/2010/08/19/news/mondadori_salvata_dal_fisco_scandalo_ad_aziendam_nell_interesse_del_cavaliere-6365174/?ref=HREC1-2) ? Non mi sembra proprio una cattiva idea...

giovedì 12 agosto 2010

scusi cavaliere, ci dica della villa di Arcore...


Chi semina vento...A quanto pare i vecchi adagi non sbagliano mai. Se la campagna mediatica di fango, organizzata e promossa da Silvio Berlusconi (ed eseguita dai suoi scagnozzi tipo Feltri e Belpietro), aveva il solo scopo di costringere alle dimissioni ed annientare politicamente l'attuale presidente della Camera dei Deputati, allora mi sa che gli schizzi sono stati mal indirizzati. Qualcuno deve aver inopinatamente ruotato la base del ventilatore mentre la velocità era al massimo: il risultato è che il doppiopetto firmato Caraceni (tanto caro al premier) si sta inesorabilmente macchiando e non solo quello. Anche la pelata del Caimano, provvisoriamente sistemata con artifizi alquanto risibili, sta ricevendo voluminose secchiate di melma di ritorno. Se qualcuno dell'entourage del cavaliere aveva pensato bene di colpire Gianfranco Fini attraverso l'affare della casa di Montecarlo, qualcun altro deve aver ricordato (io credo sia stato proprio Cesare Previti nell'incontro di qualche giorno fa a pranzo) al presidente del Consiglio in che modo (e a che scandaloso prezzo) era venuto in possesso di quei 3.500 metri quadrati (145 stanze) e di quella infinità di ettari che compongono la fantascientifica residenza di Villa San Martino ad Arcore. Mi permetto, a beneficio dei miei lettori (spero in verità pochi) dalla memoria leggermente appannata, di ricordare l'excursus della vicenda Casati Stampa. Tutto ha inizio con un fattaccio di cronaca nera. Nella notte del 30 agosto 1970 a Roma, in un magnifico attico di via Puccini nell'elegante quartiere Pinciano, il marchese Camillo Casati Stampa di Soncino uccide la moglie Anna Fallarino e il giovane Massimo Minorenti, amante della marchesa, suicidandosi poco dopo. Attraverso il medico legale di allora si stabilì (nonostante fosse alquanto evidente) che a morire per ultimo fu proprio il marchese e questo permise che tutta l'immensa eredità dei Casati Stampa passasse alla figlia Anna Maria (all'epoca diciottenne e quindi minorenne in quanto la legge stabiliva a 21 anni la maggiore età), la quale venne affidata ad un tutore che (combinazione delle combinazioni) era il figlio trentacinquenne di un avvocato amico di un certo imprenditore di nome Silvio Berlusconi. Volete sapere il nome di questo tutore? Cesare Previti. Amministrando i beni in nome e per conto della giovane ereditiera Anna Maria Casati Stampa, il rampante giovane avvocato Previti individuò nella favolosa villa San Martino di Arcore il vero affarone da proporre all'allora altrettanto giovane rampante Silvio Berlusconi: pinacoteca ricca di opere del 400 e del 500, biblioteca con oltre 10.000 volumi, scuderie e due piscine oltre all'immenso parco e alle 145 stanze di cui ho già detto prima. Il tutto per il ridicolo prezzo di 500 milioni di vecchie lire, pagabili a rate (con azioni della famigerata società Edilnord s.a.s. nemmeno quotata in Borsa) e senza registrare l'atto notarile (fu fatto solo nel 1980 per evidenti motivi fiscali, vecchio e incrollabile pallino del cavaliere...), a fronte di un valore stimato di circa due miliardi di lire (si parla solo dell'immobile). Colmo dei colmi, all'inizio degli anni 80 la residenza di Arcore viene giudicata dalle banche garanzia sufficiente per concedere un prestito di 7 miliardi e 300 milioni di lire al furbetto della Brianza (ovvero mister B.) intento a costruire le cattedrali edilizie del deserto denominate rispettivamente Milano 2 e Milano 3, oltre a gettare le basi per l'impero televisivo ed editoriale che oggi ben conosciamo. E tutto questo grazie a quei cinque colpi di fucile Browning calibro 12, sparati dal marchese Camillo Casati Stampa in quella torrida notte del 30 agosto di 40 anni fa. Caro presidente del Consiglio dei Ministri onorevole Silvio Berlusconi, non ritiene opportuno far sapere all'Italia e al Parlamento i risvolti dell'acquisto di villa San Martino oltre a far luce, una volta per tutte, sull'origine delle sue oscure fortune finanziarie che le hanno permesso di diventare uno degli uomini più ricchi del pianeta? Non crede sia cosa buona e giusta, invece di armare la mano editoriale dei cecchini Feltri e Belpietro, fare un accurato esame di coscienza e prendere atto che è tempo di togliere il disturbo (sempre dopo averci spiegato quanto richiesto prima)? Attendo una sua cortese risposta. Anche a sua insaputa...

martedì 10 agosto 2010

le manganellate del mandriano Vittorio


Non credo che si debba aggiungere nel titolo anche il cognome del losco figuro protagonista, suo malgrado, di questo mio ennesimo post dedicato al nuovo mandriano della compagine berlusconiana piena di pecore dal vello infeltrito: di Vittorio ce n'è uno soltanto, è di Bergamo, ha 67 anni, è direttore del quotidiano di proprietà del fratello del presidente del Consiglio e la sua specialità riconosciuta è quella di randellare i nemici del suo capo. Adesso lo sta facendo con Fini, reo di essersi ribellato al signorotto di Arcore. In tempi non troppo remoti (quando dirigeva l'Indipendente) gli piaceva manganellare Craxi, adulando nel contempo (a colpi di scoop e di editoriali) l'eroe di quei giorni, quel Tonino Di Pietro di cui qualche mese fa ne ha fatto lo Scajola ante litteram per la storia delle case e della sede dell'IdV in centro a Roma. Ha il pallino degli immobili il buon Vittorio, quasi fosse un intermediario mancato della Toscano o della Immobildream; quando non spulcia nei falsi dossier zeppi di fandonie a sfondo sessuale (esemplare il caso Boffo della scorsa estate o peggio ancora la pubblicazione nel 2000 di foto pedopornografiche di minori al tempo in cui dirigeva Libero) si dedica da buon impiegato del Catasto a verificare metrature e planimetrie di case donate a partiti da vegliarde nobildonne abituate ad addormentarsi con la foto di Almirante sul comodino o ancora meglio a contestare affitti in nero a politici di destra e di sinistra senza però mai farci sapere se e quanto paga lui in qualsivoglia stamberga sotto il cui tetto ripara la sua folta e preziosa chioma. Tralasciando le sue innate ispirazioni immobiliariste abilmente miscelate a truculenti fremiti pedopornografici, si può ben dire che questa volta le manganellate feltriane non hanno assoluta ragion di esistere nè possono accampare eventuali ragioni d'asilo politico-giornalistico: ha sbagliato in toto il sommo vate (da tre soldi) della stampa meneghina con aspirazione nazional-popolare. Non si bastona una terza carica dello Stato mischiando capre e cavoli, adducendo intrighi di chissà quale natura e chiedendo nel frattempo dimissioni a furor di popolo (praticamente quattro gatti) con tanto di cedola prestampata (http://www.ilgiornale.it/web/pdf/viafini.pdf) a mò di purga stalinista, o meglio da camicia nera, più consona alla sua ideologia. No caro Vittorio, prima di mettere il naso negli affari (finora debitamente leciti sino a prova contraria) del presidente della Camera dei Deputati è bene dare un'occhiata al proprio gregge, soprattutto alla pecora nera rappresentata dal tuo caro padre padrone, il beato e plurinquisito Silvio. Prima magari proponi sul tuo bel giornalino una raccolta di firme per la nuova legge elettorale (al posto della porcata di Calderoli) e sul conflitto di interessi del fratello del tuo editore. Poi, solo poi, ammorbaci ancora con la tua smodata voglia di caccia all'immobile nascosto. Vedrai che raccoglierai molte più firme. Buona estate caro direttorio.

venerdì 6 agosto 2010

viale del tramonto


E' abbastanza facile proporre una certa verosimiglianza tra l'atmosfera tipica di uno stadio tutto esaurito mentre si gioca una partita di vitale importanza (magari quella che regala il titolo di campioni d'Italia) e un'aula di Parlamento italiano (quasi) tutto preso a fare da scontata claque con il battimani frenetico e nevrotico all'ingresso del capo di un governo oramai in lenta ma inesorabile agonia. Ed è altrettanto facile sposare la linea editoriale che si evince oggi leggendo l'imperdibile pezzo firmato in prima pagina su Repubblica dal sarcastico Curzio Maltese (http://www.repubblica.it/politica/2010/08/06/news/maltese-6101201/) che alla fin fine ribadisce quello che oramai sta diventando il refrain di questo inizio di terzo millennio: quello di liberarsi al più presto (e definitivamente) del nano e delle sue ballerine di contorno. Non vorrei sembrare autocelebrativo o peggio ancora adulatore di me stesso ma queste cose (riferite al nano) le sto scrivendo da illo tempore, praticamente quasi dall'inizio di questa mia duplice avventura nella blogosfera: per essere ancor più autoreferenziale basti pensare che il 70% (circa) dei 1.333 post che ho scritto (dalla fine del 2005 ad oggi) su questo blog e su l'Antipatico sono dedicati interamente a Silvio Berlusconi e alla sua cricca, passando per annessi e connessi del tipo D'Addario e Noemi e via cantando. Sto correndo il serio rischio di vedermi appiccicare il non proprio esaltante appellativo di biografo non autorizzato (e detestato) del monarca di Arcore. Ma tornando a cose più serie vorrei ribadire lo sconcerto e il senso di vergogna che personalmente ho provato l'altro ieri pomeriggio mentre seguivo la diretta televisiva sulla mozione di sfiducia (respinta faticosamente) proposta da IdV e Pd per il sottosegretario alla Giustizia (con evidenti problemi di giustizia) Giacomino Caliendo. Quell'atmosfera becera e al tempo stesso disgustante, di cui si era totalmente impregnata l'aula di Montecitorio nel momento supremo dell'arrivo del nano accolto dai cori da stadio, mi ha fatto davvero male; la mia mente tornava involontariamente indietro di qualche lustro e faceva fatica a comparare quegli scranni lucidi e pieni di storia che un tempo avevano visto poggiarvisi le preziose terga di un De Gasperi piuttosto che di un Togliatti, di un Aldo Moro piuttosto che di un Sandro Pertini o Nilde Jotti, beh, se devo dirla tutta, vederla occupata da rozzi teatranti della politica come quelli che facevano la ola al Pifferaio di Arcore (per non parlare di quelli che appena due anni fa ingurgitavano fette di mortadella innaffiando il tutto con dello scadente spumante) o come quegli altri scesi dalle montagne con il fazzoletto verde al grido di Bossi Bossi, ha provocato in me lo stesso effetto di una purga presa in dose eccessiva e che alla fine lascia letteralmente tramortiti. Sapere che l'Italia, il mio paese, il mio tricolore, è rappresentato da loschi figuri con precedenti penali e con la predisposizione alla corruzione, da giovani sgallettate inguainate in mise degne più di uno studio televisivo che di un luogo prettamente istituzionale, mi fa letteralmente venire il voltastomaco e mi fa montare una rabbia mista a frustrazione che ogni giorno passato ancora sotto l'era del nano di Arcore equivale a mille giorni trascorsi in una cella ai tempi di Pinochet. Ma il senso di rabbia e di frustrazione (forse) ben presto troverà il suo giusto termine, la sua naturale fine: non sarà magari quest'anno, non sarà nemmeno il prossimo ma, vivaddio, arriverà finalmente quel giorno in cui potrò scrivere a lettere cubitali su questo (e l'altro) blog: "ERA ORA! BERLUSCONI FUORI DAI COGLIONI!" E magari in quell'occasione una bella ola la farò insieme a quelle persone che ancora oggi stanno soffrendo, magari in silenzio, a causa della metastasi berlusconiana. Basta solo aspettare.

domenica 1 agosto 2010

la quiete (apparente) dopo la tempesta


Non ci vuole molto a capire che questi infuocati giorni di piena estate saranno ricordati come una sorta di spartiacque tra la fine (imminente) della cosiddetta Seconda Repubblica e l'inizio (abbastanza prossimo) di una eventuale Terza Repubblica che tutti si augurano eviscerata dalla inopportuna e metastatica presenza del Signore di Arcore. L'ottimo editoriale odierno di Eugenio Scalfari (http://www.repubblica.it/politica/2010/08/01/news/avventura_cavaliere-scalfari-5994553/) in pratica ratifica con dovizia di motivazioni l'attuale situazione politica (e non solo) del nostro Paese all'indomani della presa di posizione, dal sapore vagamente bulgaro, del Ducetto della Brianza nei confronti dei dissidenti finiani. Ma quello che a mio giudizio risulta essere ancor più interessante è la sindrome da accerchiamento che in quest'ultimo periodo si è evinto in modo alquanto trasparente dal modus operandi di Silvietto nostro. E adesso? Quali saranno le prossime mosse del miglior primo ministro degli ultimi 150 anni di storia italiana? Quali altre purghe adopererà il massimo esponente della "politica del fare"? Forse vi sarà sfuggito, miei cari lettori, ma c'è un episodio che la dice lunga sulla fibrillazione berlusconiana che, credo in autunno, ci porterà a nuove elezioni anticipate. Nell'aula di Montecitorio, nel pieno della bagarre del dopo strappo, ha preso la parola un parlamentare del PdL (ne ometto il cognome per non gratificarlo di gratuita pubblicità) e ha chiesto l'inversione dell'ordine del giorno, subito accettata. Così, invece di parlare dell'affare Tirrenia (http://palermo.repubblica.it/cronaca/2010/07/29/news/tirrenia_venduta_ai_privati_e_alla_regione_-5915903/) si è tornati a rimestare il gran calderone delle intercettazioni e da quel che si è capito il governo (o meglio, diciamo Berlusconi) avrebbe intenzione di ritirare il maxi-emendamento e vorrebbe andare al voto parlamentare sul testo (contestatissimo) originario, quello varato dal Senato. Questa mossa ha poche spiegazioni possibili, almeno a mio modo di vedere. La prima è che il Pifferaio di Arcore ha un'irrefrenabile voglia di arrivare alla conta. E' cosa nota che il premier ci sia rimasto male dopo che qualcuno (Crespi) gli aveva fatto credere che i dissidenti finiani sarebbero stati una dozzina e non già 34 (più i 10 senatori): inutile sottolineare che così la sua maggioranza è decisamente a rischio. Ma se il governo dovesse andare sotto il Parlamento si scioglierebbe (almeno così la pensa Sua Emittenza) e i deputati finiani andrebbero a casa, con poca sicurezza di tornare alla Camera. Ed ecco perchè il plurinquisito di Arcore sta cercando di forzare i tempi per votare il ddl intercettazioni. La seconda spiegazione (la più plausibile) è che invece il premier abbia scelto (nel pieno delle sue facoltà mentali, ammesso che ancora ce ne siano) di andare incontro ad una sconfitta parlamentare. O ad una vittoria risicata, che poi avrebbe più o meno le stesse conseguenze. La maggioranza degli osservatori politici e non (ad eccezzione delle oramai famose truppe mammellate) sono convinti che Berlusconi guardi al voto anticipato come unica strada per uscire dall'attuale empasse. Ma tra lui e il voto, tra lui e l'avvio di una nuova stucchevole campagna elettorale da condurre esclusivamente contro i traditori finiani c'è un ostacolo, che non è di poco conto. E che si chiama Umberto Bossi. Un virtuoso della politica che, come le ultime occasioni insegnano, quando deve rispondere alle domande dei giornalisti invece di aprire la bocca alza il dito medio della mano destra (la sola ancora operativa). Un gesto che in tutto il mondo (Padania compresa) di decodifica con un solo significato, quello che avete capito. insomma, Bossi non vuole le elezioni anticipate anche perchè, da scaltro frequentatore dei palazzi del potere, ha il netto sentore che fra i suoi leghisti circola attualmente poco entusiasmo, costretti come sono a sostenere una maggioranza come si faceva una volta ai tempi della Prima Repubblica: turandosi il naso. Appena due giorni fa il Senatùr ha esortato i suoi a tenere duro (oltre a suggerire di verificare se ancora ce l'hanno duro) perchè l'agognata meta (il federalismo) è lì, a due passi e il voto anticipato farebbe inevitabilmente saltare tutto. In virtù di tutto ciò Berlusconi, sempre in stretto contatto con il leader leghista, starebbe effettuando una rapida ricognizione tra i deputati definiti "cani sciolti" proprio per garantirsi un rapido ed efficace ricambio parlamentare al posto dei tranfughi finiani. Il portavoce dell'UDC, De Poli, l'ha definita un'indecente campagna acquisti che comunque, almeno sino ad ora, non garantirebbe alla maggioranza una vita sicura con la naturale conseguenza di non aver ammorbidito (nè tranquillizzato) Bossi. E così al Pifferaio di Arcore non sarebbe rimasta che la strada ingloriosa della sconfitta alla Camera: farsi bocciare sulle intercettazioni e a quel punto anche il Senatùr capirebbe che non c'è più nulla da fare. Certo, ammesso e non concesso, una volta convinto Bossi per il Berlusca ci sarebbe poi da fare i conti col Quirinale: ma questo, eventualmente, lo si vedrà dopo, anche se i berlusconiani non ritengono Napolitano un ostacolo serio. Nè tantomeno un ostacolo sarebbe rappresentato dall'attuale PD che, nei classici momenti di crisi (come questo), rispolvera i vecchi leader. L'altro ieri, tanto per fare un esempio, è stata la volta di D'Alema il quale, come ai vecchi tempi della Bicamerale, si è impegnato con i cronisti in una lunga ed articolata analisi. Preoccupata, molto preoccupata. "Berlusconi vuole andare alle votazioni per realizzare l'obiettivo del presidenzialismo". Così parlò il leader Maximo, convinto che il premier aprirà la crisi ad ottobre e che come antidoto propone seraficamente "...un progetto attorno al quale coalizzare un fronte per sbarrare la strada all'omino di Arcore". Una frase che la nomenklatura del PD ha decrittato in questo modo: "vogliono un bel governo di transizione, di emergenza o come cavolo vogliono chiamarlo". Oggi è il primo agosto. Perchè allora non chiamarlo governo balneare? Vi ricorderebbe qualcosa? Intanto prepariamoci con il secchiello e la paletta. Poi si vedrà.