domenica 31 gennaio 2010
giovedì 28 gennaio 2010
la politica dei forni e dei mattoni
martedì 26 gennaio 2010
Massimo Scattarella, ovvero la figura del "chigghione"
domenica 24 gennaio 2010
politici inquisiti, nuovi martiri del millennio
sabato 23 gennaio 2010
un Narciso al Ministero (degli Affari Esteri)
lunedì 18 gennaio 2010
la lettera di scuse (ai giudici) del Pifferaio
giovedì 14 gennaio 2010
la Repubblica, il Corriere & gli aumenti ingiustificati
lunedì 11 gennaio 2010
riabilitare Del Turco, altro che Craxi...
Ci voleva proprio un bell'articolo sul quotidiano torinese diretto da Mario Calabresi(http://www.lastampa.it/redazione/cmsSezioni/politica/201001articoli/51043girata.asp) per accorgerci della notizia che ha fatto rumore negli ultimi giorni: le accuse a Ottaviano Del Turco (che nell’estate del 2008 gli valsero un mese di isolamento in carcere e poi gli arresti domiciliari e che fecero cadere anzitempo la sua giunta democraticamente eletta dai cittadini abruzzesi, consegnando di fatto la regione Abruzzo alla destra) si stanno rivelando clamorosamente infondate.
Tecnicamente, se confermato, sarebbe un golpe contro un’amministrazione regionale che avrebbe dovuto concludere in questi mesi il suo mandato. Non solo, dopo un anno e mezzo di indagini e un centinaio di rogatorie internazionali, non si trova traccia dei soldi che Del Turco avrebbe incassato da Vincenzo Angelini (il principale accusatore), re della sanità privata abruzzese, nascosti nel famoso sacchetto delle mele immortalato in una foto che doveva essere la prova regina (ma che in realtà ritraeva solo Angelini con un sacchetto in mano, ed era stata fatta scattare da Angelini stesso). Ma ci sono anche fondati motivi di ritenere che il presupposto per cui Angelini, già da tempo sotto indagine, prese improvvisamente a dirsi ricattato dai politici, fosse il rischio che correva lui di essere arrestato. Nonché il desiderio di liberarsi di un’amministrazione regionale che stava facendo pulizia nella gestione allegra della sanità privata abruzzese. Qualcuno l’aveva detto e scritto in epoca non sospetta, ma senza esito. Adesso toccherà naturalmente al processo stabilire la verità: gli atti depositati insieme alla richiesta di rinvio a giudizio sono una notizia gigantesca, che non può passare sotto silenzio e non può lasciare indifferente la politica democratica (con l’eccezione di Franco Marini, abruzzese doc, che è già uscito allo scoperto in difesa di Del Turco alla luce delle nuove acquisizioni dell’inchiesta). A suo tempo, e mi dispiace dirlo, nel Partito Democratico furono davvero in pochi a esprimere solidarietà a Del Turco nè tantomeno ad avanzare dubbi sull’inchiesta. Non è stata di certo una bella pagina di storia politica e giudiziaria quella riguardante l'ex Governatore d'Abruzzo. Non vorrei dire, ma credo sia scontato che contrastare la quotidiana aggressione berlusconiana al potere giudiziario non può significare rinunciare ai doveri di un partito, che comprendono anche un minimo di solidarietà interna, almeno fino a prova contraria.
Cerchiamo di ricordarcelo, quando si discute dei rapporti tra politica e giustizia, invece di celebrare esuli e latitanti in terra d'Africa pensando pure di dedicare loro una bella piazza milanese.
sabato 9 gennaio 2010
il lavoro rende liberi (di sfruttarli)
Quella che sta vivendo Rosarno in questi giorni può definirsi una tragedia annunciata. Due balordi prendono di mira, a bordo di un’auto, alcuni immigrati con un fucile ad aria compressa, sparano e ne feriscono due. Era già successo un episodio del genere poco più di un anno fa. Il tutto ci riporta alle condizioni inumane e degradanti in cui vivono e lavorano gli immigrati dalla pelle scura. E loro, sentendosi bersagli inermi, si rivoltano e devastano innescando un clima incandescente. Provocando di conseguenza lo sdegno e la reazione degli abitanti locali e delle istituzioni. Però le ineleganti e inopportune sortite mediatiche del solito Maroni non contribuiscono di certo a rasserenare l'aria. Le sue dichiarazioni sono irresponsabili, oltre che ipocrite. Benzina sul fuoco al posto dell'impegno ad operare per riportare la calma, garantire la sicurezza di tutti (immigrati e cittadini di Rosarno), colpire i responsabili degli atti che hanno innescato l’escalation, intervenire subito per favorire condizioni di vita e di lavoro più dignitose. Anche perchè forse non tutti lo sanno ma gli immigrati di Rosarno sono doppiamente vittime: della 'ndrangheta che li sfrutta e delle leggi sull’immigrazione volute dal centrodestra che li condanna alla clandestinità, consegnandoli così ostaggio dei loro sfruttatori. Sono anni, infatti, che migliaia di immigrati vengono reclutati per la raccolta di agrumi nella Piana di Gioia Tauro per 20-25 euro al giorno dai caporali della zona, che sono ritornati ad un mestiere antico e che si sperava debellato per sempre. E così quelli dalla pelle diversa dalla nostra continuano la loro esistenza di clandestini, senza diritti e identità, invisibili per le istituzioni e abbandonati a se stessi. Si è preferito far finta di non vedere e non sapere, girare la testa dall’altra parte invece che affrontare la situazione. Risultato? Si raccoglie in queste ore, tra gli agrumi di Rosarno, uno dei frutti più avvelenati della politica sull'immigrazione voluta fortemente dal governo del Pifferaio, in particolar modo dai soliti leghisti. Rosarno, periferia d’Italia, fa tornare alla mente la rivolta delle banlieue di Parigi e i suoi sans papier. Ma proprio perché non è da oggi che gli immigrati si trovano a Rosarno bisogna ricordare che non è sempre stato così. Quando a Rosarno c’era il sindaco antimafia del centrosinistra, il Comune operava quotidianamente per l’integrazione e il dialogo, per l’accoglienza e la solidarietà. E la situazione non era mai arrivata ai livelli di gravità degli ultimi anni. Forse bisognerebbe incominciare a colpire gli sfruttatori del lavoro in nero (e per il nero) dei migranti presenti, colpire coloro i quali hanno fatto partire questa tragica spirale di violenza. E occorre forse porsi una domanda: come mai, tutto questo, è accaduto proprio ora che l’attenzione nazionale era concentrata su Reggio Calabria e sull’attentato messo in atto dalla 'ndrangheta alla Procura del capoluogo? Non so quanto insperato e inatteso ma di certo questa Soweto made in Calabria si è rivelato un aiuto prezioso per distogliere l’attenzione dalle cosche della provincia e dal malaffare della politica contigua.
giovedì 7 gennaio 2010
barattare la privacy con la sicurezza
Quello che è successo (o per meglio dire, che non è successo) il giorno di Natale sul volo Delta Airlines da Amsterdam a Detroit è stato l'ultimo anello di una catena della paura, dell'ossessione dell'attacco terroristico che oramai ci sta accompagnando da quel lontano 11 settembre 2001.
La falla che il tentativo stragista dell'adepto di Al-Qaeda ha messo in luce nel sistema di vigilanza sta mandando in fibrillazione l’intero apparato. Rallentamenti, disagi e costi per compagnie, viaggiatori e Paesi si sono immediatamente impennati, costringendo a una veloce corsa ai ripari per sventare altri possibili attacchi. Inutile sottolineare che quando rende strutturale la paura, quando costringe a modificare stili e abitudini di vita, il terrorismo ha già riportato una vittoria parziale. Con la nuova minaccia nei cieli Al-Qaeda sta obbligandoci a ricalibrare il difficilissimo equilibrio tra sicurezza da una parte, libertà e privacy dall’altra. L’introduzione dei cosiddetti body scanner negli scali internazionali, compresi Malpensa e Fiumicino, solleva dibattiti e comprensibili perplessità, ma appare un metodo avanzato per scongiurare l’introduzione di armi ed esplosivo a bordo degli aerei. Eppure, la messa a nudo davanti all’operatore di polizia, che comporta il passare attraverso la macchina, può essere certamente vissuta come una violazione della propria riservatezza e persino come un’umiliazione. In Gran Bretagna si paventa che, nel caso dei bambini, possa confliggere con le norme anti-pedofilia. Altri sottolineano l’imbarazzo di chi abbia subito o debba ancora subire alcuni tipi di operazioni chirurgiche. Si può anche pensare al disagio dei religiosi e di coloro che del pudore hanno ancora particolare considerazione. Si tratta, è chiaro, soltanto dell’esempio più recente e neppure del più eclatante. Al "body scanner" potremo pure assuefarci, diverso è il caso di più invasive limitazioni che discendono dal mutare il bilanciamento tra diritti e misure di protezione. Divieti e controlli motivati dalle minacce di attentati rappresentano sempre un travaso di potere, introducono un’ulteriore asimmetria tra cittadini e responsabili della sicurezza, aprono uno spiraglio per abusi e atti di arbitrio. In buona sostanza, peggiorano in qualche misura la nostra esistenza. Certo, sono il prezzo da pagare per proteggere la nostra vita. E saremmo i primi a dolerci e a protestare se non si assumessero le misure ritenute necessarie e praticabili a difesa di passeggeri inermi.
Sicché non vi è una regola che possa fissare il giusto mezzo fra libertà e sicurezza. Né, tuttavia, bisogna cedere all’emozione del momento. Alzare muri indiscriminati, bollare tutti i viaggiatori provenienti da Paesi musulmani come soggetti a rischio, blindare le frontiere non servirà a dare garanzie assolute e, anzi, rischia di offrire strumenti alla stessa Al-Qaeda, pronta a soffiare su tutto ciò che è capace di gettare diffidenza ed ostilità tra nazioni occidentali e mondo islamico. Il terrorismo dei kamikaze non può vincere nessuna guerra. Ha però un obiettivo che è in grado di conseguire: innescare quei conflitti di civiltà spesso evocati, temuti e deprecati, che nei fatti non esistono. Almeno finora. Le colombe, coloro che tentano il dialogo, su un fronte o sull’altro, per i fautori dello scontro sono nemici peggiori dei falchi.
Tenere basso il livello della paura e del sospetto, non alterare le nostre routine, avere una linea di fermezza senza generalizzare, per quanto risulta possibile e ragionevole fare, rimane la strada maestra contro i piani dei terroristi. Che possono uccidere qualcuno, ma vogliono spaventare tutti, in modo da avere campo libero per la propria strategia di sottomissione di un modo di vita che disprezzano perché non capiscono. La libertà rimane la nostra frontiera. Da non sacrificare troppo alla sicurezza.